La corruzione nell’era berlusconiana. Le tangenti diventano commissioni

ROMA – Da sempre le tangenti si chiamano commissioni.  Parola di Silvio Berlusconi, ex quarta carica dello Stato italiano. Oggi, infatti,  intervenendo alla trasmissione di Agorà ha detto che in alcuni paesi dove le democrazie non sono così perfette ci sono delle condizioni che bisogna accettare per vendere i propri prodotti.

“Pagare tangenti per accedere a determinati mercati è una situazione di necessità, negarlo è moralismo da  sepolcri imbiancati”, ha sottolineato il cavaliere.
Insomma, un modo esplicito per dire che Finmeccanica ha agito come da consuetudine, visto che probabilmente l’India, “essendo fuori dalla sfera occidentale” come ha ribadito Berlusconi, non è un paese democratico. Eppure, guarda caso, i pagamenti dei 12 elicotteri Augusta sono stati bloccati proprio dal governo di New Delhi che ha preso le distanze su questa  operazione di dubbia natura ed ha aperto un’inchiesta per fare luce sulla vicenda. Esattamente come stanno facendo i magistrati qui da noi. Quindi nulla di strano.
Anzi, c’è da sperare che con il tempo il pensiero berlusconiano diventi una delle priorità da debellare dalla becera mentalità omertosa di cui alcuni italiani vanno fieri.
Altrimenti il presidente di Finmeccanica Giuseppe Orsi non sarebbe stato assicurato alle patrie galere con tanto di “compagnia bella” che l’ha aiutato ad aggiudicarsi questa ingente commissione dal valore di mezzo miliardo.

E neppure Raffaele Fitto, parlamentare del Pdl, ora capolista alla Camera in Puglia, sarebbe stato condannato a 4 anni di reclusione per una presunta tangente di 500mila euro che il pidiellino avrebbe ricevuto   dall’editore e imprenditore romano Giampaolo Angelucci.  Una normalissima prassi, tanto  che l’Italia nonostante appartenga geograficamente alla sfera occidentale, potrebbe essere considerata benissimo un Paese terzomondista per le politiche  che alcuni esponenti della cosiddetta classe dirigente esprimono in tema di giustizia. A dirlo da tanto tempo non sono tra l’altro i bolscevichi dell’informazione, come qualcuno vorrebbe far credere, bensì organi autorevoli come la Banca Mondiale che oggi parla dell’Italia come uno dei paesi più corrotti al mondo. Mille miliardi all’anno di tangenti che fanno retrocedere il nostro Paese agli ultimi posti della classifica per  trasparenza, addirittura dopo il Ghana, Botswana, Butan e il Rwanda. O come riporta oggi il Sole24ore, il cui editore va ricordato è la Confindustria, ovvero che metà delle aziende quotate a Piazza Affari sono sotto inchiesta da parte delle procure di mezza Italia. Saranno anche queste indagini volte ad oscurare il caso del Monte dei Paschi o si tratta di “accanimento giudiziario” come fa notare un altro esponente del Pdl, tale Eugenia Roccella,  riferendosi al caso Rizzoli. Perchè se così fosse non si spiegherebbe neppure l’arresto di Alessandro Proto, il finanziere candidato alle primarie del Pdl prima che le consultazioni naufragassero,  accusato di manipolazione di mercato e ostacolo all’attività degli organi di vigilanza. Certo che nel centro destra una sorta di esame di coscienza andrebbe fatto visto il crescente coinvolgimento tra indagati e condannati.
Inutile ricordare anche la classifica di Transparency International che vede l’Italia come il Paese più corrotto in Europa, dopo la Grecia, mentre sempre la Banca mondiale piazza il Bel paese al 73mo posto.
Insomma la corruzione, per dirla alla Silvio, è una commissione in aumento inquietante su cui però c’è poco da scherzare.
I dati della Guardia di Finanza lo dimostrano con estrema chiarezza con il rilevante aumento che regsitrano ogni mese. E se all’estero c’è una sorta di reazione contraria al fenomeno, in Italia ci troviamo esattamente in una situazione paradossale, assuefatti da una consuetudine criminale, dove rimanere in silenzio è d’obbligo specie se la politica aiuta a tenere le bocche cucite.

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