Le tre piazze di Roma, metafore della politica nazionale

ROMA – Molto si è scritto, e molto si è detto, sabato, a proposito delle piazze romane nelle quali si è conclusa la campagna elettorale per le elezioni amministrative del 26 e 27 maggio. Tre piazze storiche, ospitavano candidati sindaci e leader dei tre soggetti politici, Pd, Pdl e 5Stelle, che insieme raccolgono i tre quarti del consenso popolare.

A Piazza San Giovanni, Ignazio Marino, candidato sindaco, aveva chiuso la campagna elettorale di Romabenecomune, l’insieme delle sigle che sostengono il Centro sinistra. Al Colosseo, il sindaco uscente, Alemanno aveva chiuso con Silvio Berlusconi la campagna del Centrodestra. E a Piazza del Popolo, il Movimento 5 Stelle era protagonista con la presenza di Beppe Grillo. Sulla carta, ci si attendeva un flusso di decine di migliaia di persone, dato il carattere delle presenze. E invece, si è trattato di un vero e proprio flop, sia sul piano quantitativo che sul piano politico vero e proprio, complessivamente e in ciascuna piazza.
Piazza San Giovanni, come a tutti è noto, può ospitare centinaia di migliaia di persone. Ed è considerata la piazza storica, dei movimenti politici di sinistra e del sindacato. Più volte sottoposta a sfida anche dal Centrodestra berlusconiano e dal Movimento di Grillo, piazza San Giovanni è stata sempre teatro di grandi eventi politici, dove il popolo, la massa, ne usciva protagonista. È la piazza storica del Primo Maggio di festa dei lavoratori. È la piazza simbolo dei movimenti pacifisti, e perfino antagonisti. Insomma, quando un evento si svolge a piazza San Giovanni, fa rumore. Così evidentemente, i leader di Romabenecomune hanno pensato bene di chiudere la campagna elettorale romana “col botto” a piazza San Giovanni. In tutta onestà e franchezza, col senno di poi, e avendoci partecipato di persona, possiamo dire che forse si è trattato di un azzardo, o, se si vuole, di una scommessa non del tutto vinta. Sul piano della quantità, il colpo d’occhio tradiva l’enorme spazio vuoto. Sul piano della psicologia della massa, la sensazione era quella di elettori del Centrosinistra spaesati, sorpresi, intimiditi (e non solo dalla maestosità di piazza San Giovanni), e non del tutto entusiasti della scelta di tenere i leader a bagnomaria sotto l’enorme palco. Sul piano dell’emotività generale, mancava, o meglio, non si avvertiva, quella sensazione di evento che accomuna chiunque vi partecipi e costruisce un meraviglioso flusso di passioni collettive. Da questo punto di vista, è sembrata una piazza triste. Ci spiace scriverlo, ma questa sembrava la sensazione diffusa.

D’atro canto, nemmeno il Centrodestra ha dato buona prova di sé, sul piano della mobilitazione, al Colosseo. Pochissime migliaia di persone, per lo più anziani, ad ascoltare Alemanno e la conclusione di Berlusconi. Come in tanti hanno scritto, la sensazione del flop era talmente forte e diffusa, che Berlusconi è stato costretto a fare il comizio più breve della sua vita politica, appena 22 minuti di arringa, a braccio, e neppure molto convincente. Insomma, è sembrato più un atto dovuto e compiuto con svogliatezza, che la solita chiamata alle armi del leader di Arcore. La differenza tra le sue performance alle elezioni politiche, e quella del Colosseo, era davvero palese: privo di argomenti, senza nerbo, forse intimidito dagli scandali e dalle inchieste piovute su Alemanno. Insomma, un comizio “cotto e magnato” nel giro di meno di un’ora, rivolto a un paio di migliaia di sostenitori, freddi e infreddoliti.

Apparentemente diversa Piazza del Popolo, che ha accolto il popolo di Grillo. Qui, un gigantesco palco toglieva spazio sotto il Gianicolo, mentre dalla parte opposta, erano stati sistemati furbi gazebo, allo scopo di tagliare la piazza, riducendone lo spazio. L’astuzia della regia televisiva del comizio ha avuto ragione, perché, di fatto, la gente è stata fatta convogliare nello spazio tra il palco e la Colonna dei Leoni, come in una sorta d’imbuto. Così, il colpo d’occhio delle telecamere tradiva una realtà che lo spettatore diretto non viveva affatto. “Siamo cinquantamila”, ha gridato dal palco l’abile conduttore. In realtà, erano di meno, assai meno, diecimila, forse, non di più. E dopo l’exploit delle politiche a piazza San Giovanni, ritrovarsi con quei numeri ha deluso non poco Beppe Grillo, meno brillante e più gridato del solito.
Sarà stato per effetto dello sciopero dei trasporti, sarà stato per effetto di un clima autunnale, più vicino ai trend di Copenhagen, che di Roma, fatto è che la conclusione della campagna elettorale di Roma pare sia stata vinta da quella parte di popolo distante dalla politica (e anche dall’antipolitica), che non partecipa e nemmeno vota. Che questi fatti siano anticipazioni di una diserzione di massa dalle urne anche a Roma? Speriamo di no, ma temiamo che lunedì pomeriggio dovremo nuovamente fare i conti soprattutto con il dato dell’astensionismo di massa.

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