La speranza di Letta nell’Europa in macerie

ROMA – Guai a chi dovesse pensare che, dopo la chiusura della procedura d’infrazione per deficit eccessivo, decisa mercoledì scorso dall’Unione Europea, la crisi morale, civile, culturale ma, soprattutto, politica, strutturale ed economica del nostro Paese sia alle spalle.

Guai, perché si tratterebbe di un errore che ci condurrebbe a imboccare una strada in fondo alla quale c’è solo l’abisso, e stavolta nessuno sarebbe disposto ad accorrere in nostro soccorso.

Detto questo, non c’è dubbio che la mano tesa dei vertici di Bruxelles rappresenti una boccata d’ossigeno per l’atipico, e finora asfittico, governo Letta, costretto a fare i conti con l’eterogeneità delle forze che lo compongono e con l’insostenibile populismo di una di esse: la stessa le cui ricette di governo ci hanno trascinato nel baratro; la stessa che non riesce ad avere una visione d’insieme della società e del futuro tale da consentirle di andare al di là dei desideri e dei diktat del suo capo; la stessa, infine, i cui più autorevoli esponenti non fanno altro che parlare a reti unificate dell’abolizione totale dell’IMU sulla prima casa e addirittura, in qualche caso, della sua restituzione, ben sapendo che questa mossa ci farebbe tornare immediatamente tra i “sorvegliati speciali” e tra i principali imputati delle fibrillazioni che scuotono ogni giorno il Vecchio Continente.

Senza contare che Letta è il primo a sapere che sarà ben difficile realizzare quelle riforme radicali di sistema che ci chiede l’Europa, avendo al proprio fianco un partito che, quando è stato al governo, non ha trovato di meglio che depenalizzare il falso in bilancio e inventare ogni sorta di marchingegno giuridico per mettere il proprio anomalo leader al riparo dalle indagini dei tribunali.

Frequenti sparate del ministro tedesco Schäuble.

E senza contare che il resto d’Europa non se la passa poi tanto meglio, tra una Francia entrata ufficialmente in recessione, una Spagna, una Grecia e un Portogallo il cui tenore di vita è sempre più simile a quello dei paesi del Terzo mondo, una Gran Bretagna in grandissimo affanno e una Germania che continua a sentirsi erroneamente al sicuro ma non lo è affatto: un po’ perché la crisi, a lungo andare, finisce col coinvolgere e con lo sconvolgere tutti, un po’ perché un paese che deve la propria potenza economica all’export non può che essere danneggiato dalla riduzione del potere d’acquisto nelle altre nazioni, un po’, in conclusione, perché la classe dirigente tedesca non è per nulla migliore, né tanto meno più lungimirante, di quella degli altri paesi, come dimostrano le frequenti sparate del mai domo ministro delle Finanze, Schäuble.

A tal proposito, è doveroso rispondere a tono al commissario europeo per l’Energia, il tedesco Günther Öttinger, il quale, con un tempismo e un senso dell’opportunità che nemmeno Schäuble, si è permesso di definire l’Italia “un Paese ingovernabile, come la Bulgaria e la Romania”. Non avendo, a differenza del ministro Moavero, alcun incarico istituzionale, ci sentiamo in dovere di ricordare al prode commissario Öttinger che anche la Germania rischia, fra pochi mesi, di ritrovarsi in uno stato di ingovernabilità, con un partito dichiaratamente anti-europeista (Alternative für Deutschland, Alternativa per la Germania) che cresce a vista d’occhio e la cui affermazione alle elezioni di settembre potrebbe, se non vanificare, quanto meno indebolire pesantemente la probabile Grosse Koalition che si verrà a creare tra SPD e CDU. E vorremmo ricordargli anche, visto che il nostro amico ha pensato bene di farsi pubblicità insultando tutto e tutti indiscriminatamente, che il mito del super-uomo e della “razza superiore” è lo stesso che ha portato alla nascita e all’affermazione di un’ideologia aberrante quale il nazismo e il cui perseguimento da parte dei soldati del Terzo Reich è costato la vita a decine di milioni di persone.

 Schulz: sottovalutato il ruolo dell’Italia

 

Fortunatamente, lo stesso giorno abbiamo potuto contare sulla saggezza e sul senso della misura di un altro politico tedesco, il presidente del Parlamento Europeo Martin Schulz, il quale, in un’intervista a “la Repubblica”, ha dichiarato: “Öttinger si è lasciato un po’ andare nelle sue dichiarazioni, e non solo sull’Italia… Non sono assolutamente d’accordo con lui per quanto riguarda l’ingovernabilità. L’Italia deve ritenersi fortunata ad avere al timone una persona come Enrico Letta, che ha già dato segnali chiari del suo impegno a favore di un’Europa più giusta, più attenta alle questioni sociali, e più democratica”. E ha aggiunto: “L’Italia è un paese centrale per l’Europa, e spesso il suo ruolo è sottovalutato, in primis dagli italiani. Ma, ricordiamolo, oltre a essere un paese del G8, con una base industriale solida, l’Italia è un paese fondatore della UE, con una tradizione pro-europea forse unica in Europa”. Per non parlare poi del suo rilancio dell’asse progressista Letta-Hollande, in grado – a suo dire – di “determinare una svolta negli orientamenti della UE”.

Il vero problema, sotto gli occhi di tutti, è che in Europa gli Schulz sono in netta minoranza rispetto agli Öttinger e sarà sempre di più così se non riusciremo a rimettere al centro del nostro dibattito politico la creazione di nuovi posti di lavoro, la risoluzione della piaga continentale dell’altissimo tasso di disoccupazione giovanile e, di conseguenza, la promozione dell’essere umano e dei suoi diritti nell’ambito di un contesto più vasto e di una cornice mai sperimentata prima.

 

Perentorie richieste rivolte da Bruxelles

Per favorire questo processo, le richieste rivolte da Bruxelles all’Italia sono state perentorie: avvio di un “percorso regolare” per la riduzione del debito pubblico; alleggerimento della nostra smodata pressione fiscale, a cominciare da lavoro e imprese; creazione di un mercato del lavoro veramente aperto, nel quale sia più semplice per laureati e donne inserirsi; potenziamento e netto miglioramento del nostro sistema educativo; riapertura dei rubinetti del credito da parte delle banche; riforma della giustizia civile, della burocrazia e della pubblica amministrazione al fine di snellire le pratiche e favorire gli imprenditori onesti a scapito di quelli disonesti e apertura alla concorrenza nei trasporti, nell’accesso alle professioni e, naturalmente, nelle telecomunicazioni, ossia uno dei tabù del Cavaliere.

Può, dunque, il governo Letta realizzare questa lunga serie di obiettivi? La risposta, realisticamente, è no: sia perché, di sicuro, non avrà il tempo per mettere a punto le riforme necessarie per adempiere ad un programma così ambizioso sia perché, per attuarlo, dovrebbe avere come alleato il partito di De Gasperi e Moro, non quello di Alfano e Brunetta.

Tuttavia, quest’apertura di credito e fiducia nei confronti del nostro Paese rappresenta, comunque, una speranza: l’ultima alla quale possiamo aggrapparci se vogliamo scongiurare il serio pericolo di una deriva autoritaria dalle conseguenze imponderabili.

 

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