Iran. Il silenzioso risveglio dei ragazzi di Teheran

Per chi, come noi, ricorda bene le violenze e le repressioni messe in atto nel 2009 dal regime di Ahmadinejad, col plauso della suprema guida religiosa che domina in Iran dai tempi di Khomeini, è bellissimo poter commentare le immagini dei giovani riversatisi nelle strade di Teheran per festeggiare la vittoria elettorale del moderato Hassan Rohani.

Molti di loro, probabilmente, quattro anni fa avevano animato le proteste dell’Onda Verde: quel movimento di popolo, quella sorta di insurrezione spontanea che si manifestò in seguito alla non-vittoria (o, per meglio dire, alla vittoria segnata, a quanto pare, da pesantissimi brogli) di Ahmadinejad, chiedendo a gran voce un Iran più aperto, libero, laico, disponibile ad ascoltare ed accettare le richieste di emancipazione di una generazione sempre più irrequieta e determinata e, soprattutto, in grado di tornare protagonista sulla scena internazionale, lasciandosi alle spalle l’isolazionismo negazionista e anti-ebraico di un personaggio che sembrava il perfetto sosia di Hitler.

Ci sono voluti quattro anni ma, alla fine, il “miracolo” è avvenuto: Hassan Rohani, grazie all’appoggio congiunto degli ex presidenti Khatami e Rafsanjani e al saggio ritiro di Aref dalla competizione, è riuscito a trionfare già al primo turno, conseguendo il 50,7 per cento dei consensi e staccando nettamente i tre rivali conservatori: Qalibaf, Jalili e Rezai.

Intendiamoci: Rohani non è affatto un leader progressista nel senso che intendiamo noi e, tanto meno, una personalità filo-occidentale; al contrario, è un khomeinista convinto, da sempre protagonista della vita politica, religiosa e diplomatica dell’Iran e molto radicato nel sistema di potere che vede a capo l’ayatollah Ali Khamenei e dal quale discendono tutte le decisioni principali della potenza mediorientale, a cominciare da quelle delicatissime sul nucleare e sulla dotazione dell’arma atomica da parte del regime di Teheran.

Non aspettiamoci, dunque, particolari aperture, nonostante Rohani abbia scelto come simbolo della sua campagna elettorale una chiave, in grado – a suo dire – di riaprire le porte dell’Iran al mondo e le porte del mondo all’Iran. Non aspettiamocele, o almeno non nel senso che auspichiamo noi occidentali, anche perché egli è assai più vicino alle posizioni di Rafsanjani che a quelle di Khatami: un politico centrista, incline al dialogo e al confronto, al negoziato e alle aperture diplomatiche, capace di farsi ascoltare dall’Occidente e, probabilmente, di raccogliere e valorizzare al meglio le aperture che Obama aveva più volte indirizzato al suo predecessore, ricevendo purtroppo solo dinieghi.

Mai come in questo caso, pertanto, il profilo biografico di Rohani è fondamentale per comprendere le ragioni della sua ampia vittoria. Per quanto lo festeggino i giovani, come detto, il nuovo presidente iraniano non è Khatami, non ha vinto grazie a loro e non sappiamo nemmeno se sia disposto in futuro ad ascoltare le loro richieste e, eventualmente, a trasformarle in riforme. Rohani ha vinto in virtù del suo equilibrismo, del suo sapersi districare in tutte le situazioni, del suo non dispiacere fondamentalmente a nessuno e, più che mai, a nostro giudizio, del cinico realismo politico che ispira le decisioni dell’ayatollah Khamenei. Anche se non lo ammetterà mai pubblicamente, infatti, Khamenei sa bene che l’Iran è un paese oramai allo stremo, sfiancato dalle sanzioni della comunità internazionale e travolto dall’insopportabile isolamento cui lo hanno condannato le dichiarazioni e le politiche aberranti di Ahmadinejad. E sa altrettanto bene che l’Iran non avrebbe mai i mezzi, la forza e gli armamenti adeguati per fronteggiare un eventuale attacco da parte dell’esercito israeliano e, meno che mai, delle truppe americane, qualora la minaccia nucleare e la destabilizzazione di una Regione che è già di per sé una polveriera dovessero proseguire lungo i binari percorsi finora dal fanatismo ultra-nazionalista dell’Hitler persiano.

Per questo, pur non essendo il suo candidato ideale, Khamenei non si è opposto al successo di Rohani: non certo per idealismo quanto, in particolare, per quel princìpio del “maslahat” (del pragmatismo) che ha sempre improntato la politica iraniana.

In conclusione, però, ci preme sottolineare che i giovani non hanno tutti i torti a riversarsi festanti nelle strade perché la repressione nei loro confronti, se non altro per necessità diplomatiche e di immagine internazionale, con ogni probabilità sarà allentata e, più che mai, perché il trionfo di Rohani potrebbe segnare l’inizio di un silenzioso risveglio, di un lungo cammino che potrebbe favorire l’avvento di quella stagione di riforme che l’Iran e l’intero Medio Oriente non possono più attendere.

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