I migranti muoiono. L’unica razza è quella umana

ROMA – Aspettiamo tra rabbia e dolore, tra sdegno e incredulità che i migranti della discordia emergano da quel mare in cui hanno trovato la morte.

Ma non è detto che il tragico destino sia clemente con  i loro corpi, spesso  risucchiati nelle profondità marine. Tanti sono i come e i perchè del dopo, tante le storie e le speranze  che ogni vittima partita da molto lontano serbava dentro di sè.

Eppure, e ora è più chiaro che mai, le politiche internazionali hanno fallito. Hanno fallito i Paesi occidentali, come gli Stati membri dell’Unione Europea  che  fanno orecchie da mercante, chiudono le frontiere quando l’immigrato è alle porte e solo oggi che il numero delle vittime è elevato l’attenzione si sposta sulla tragedia umana, sapendo benissimo che non è la prima e non sarà l’ultima. Il Canale di Sicilia è un tratto di mare che testimonia questo vergognoso dramma, in cui emergono le responsabilità politiche di un fenomeno che meno si vede meglio è.

In 17 anni sono stati recuperati oltre 6 mila cadaveri. Morti a cui spesso non corrisponde nè un nome e neppure una terra di provenienza. Insomma, razza umana, ma senza classificazione alcuna. La barca di oggi trasportava ben 500 anime disperate, donne, uomini, bambini, originari  per lo più da Eritrea e Somalia. Gente, che nonostante quel che dica la Lega, è come noi con l’unica differenza che loro sono costretti a fuggire da paesi invivibili, dove spesso regna  morte e miseria, portandosi con sè un carico di speranza di trovare l’auspicato mondo migliore. Che, va ricordato, non è come lo immaginiamo noi, visto che qualche piccolo privilegio ancora ce l’abbiamo.

E’ una vergogna, ha detto papa Francesco quando ha appreso la notizia, perchè la giustizia e solidarietà sono due parole dimenticate da questo mondo individualista.Inutile fare giri di parole, osservare minuti di silenzio che allo scoccare dell’ultimo secondo saranno dimenticati come un lampo che illumina il cielo. Sarebbe, invece, ora che le autorità italiane e quelle dell’Europa cooperassero tra loro. Si mettessero seriamente  a tavolino nel tentativo di creare una condizione umana di ospitalità nei confronti di questi disperati, facendosi portatori di una sola razza, quella umana sia fuori che dentro i proprio confini geografici. Altro che chiusura delle frontiere, altro che caccia alla streghe, siamo ricaduti di nuovo  nel solito trabocchetto della difesa a tutti i costi del “mio unico giardino”. Un pensiero che ancora sopravvive e per il quale ancora oggi anche l’Italia ne paga le conseguenze. Diceva bene Albert Einstein, “l’unica razza che conosco è quella umana”. 

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