La sfida europea e il privilegio di una generazione

ROMA – Delle numerose immagini che rimarranno impresse di questo week-end romano dedicato all’Europa, nel quale il PD ha finalmente sancito l’ingresso ufficiale nella famiglia del socialismo europeo, una è senz’altro più significativa delle altre, ed è quella di Martin Schulz, candidato del PSE alla presidenza della Commissione europea, circondato da un gruppo di ragazzi provenienti da vari paesi e intento a rispondere alle loro domande circa il futuro dell’Unione Europea e le prospettive delle nuove generazioni.

Ci rimarrà impresso, quel venerdì pomeriggio presso la Residenza di Ripetta, perché ci ha indotto a riflettere su un aspetto cui pochi osservatori danno peso ma che, invece, è essenziale per comprendere le possibilità di successo di una generazione che troppi hanno dato anzitempo per spacciata.

Perché è vero che la crisi occupazionale è devastante, come è vero che dall’inizio della crisi il tasso di povertà è aumentato in maniera esponenziale, fino a mettere a rischio l’esistenza stessa del ceto medio; ed è vero anche che i ventenni di oggi dovranno fare i conti con un’esistenza per lo più precaria, senza tutele, senza alcun diritto riconosciuto, in un mondo sempre più cinico e sempre meno solidale, con istituzioni fragili e una politica mai stata così assente, distante, screditata. Tuttavia, è altrettanto vero che questa nostra generazione priva di tutto ha davanti a sé un’enorme risorsa, finora quasi ignorata, che è la costruzione di un’altra idea di Europa, di un altro modello sociale e di sviluppo, di nuove reti, possibilmente transnazionali, di solidarietà e di scambio; il tutto favorito da risorse mediatiche e tecnologiche mai viste prima e dalla capacità di chi è nato dopo il crollo del Muro di Berlino di adattarsi facilmente ai ritmi vertiginosi di questo tempo senza certezze, senza punti di riferimento, in cui tutto cambia dall’oggi al domani e gli scenari si susseguono a una velocità impensabile fino a vent’anni fa.

Come ha ribadito in più occasioni Schulz, non possiamo accettare l’idea che un’intera generazione si consideri perduta, che guardi al domani gravata da un’idea di sconfitta e che cominci a considerare le disuguaglianze e le ingiustizie alla stregua di un fatto fisiologico. Se davvero vogliamo che l’Europa abbia un domani – è il punto cardine del pensiero di Schulz – dobbiamo fare in modo che la generazione Erasmus, la generazione cresciuta con l’euro in tasca e una sola Germania sulle carte geografiche si consideri la “Generazione Europa”, la generazione che condurrà il progetto nato in seguito alla barbarie del secondo conflitto mondiale all’approdo dell’Unione politica, realizzando quel federalismo di stampo spinelliano che solo può consentire oggi a tutti noi di essere protagonisti dei rivolgimenti che stanno investendo l’intero pianeta.

In poche parole: se davvero il progetto europeo vuole conservare un respiro ampio e non restare imbrigliato nelle maglie sempre più strette e insopportabili di una tecno-burocrazia asfissiante, deve riscoprire lo slancio dei primi anni Cinquanta, quando l’obiettivo era quello di scongiurare nuove guerre, e basarsi su un’ideologia comunitaria all’insegna della solidarietà, dell’accoglienza, dell’apertura mentale e del rispetto reciproco fra i popoli, con l’unico, immenso obiettivo di trasformare la globalizzazione meramente finanziaria dei liberisti in una globalizzazione delle idee, delle culture, delle lauree universitarie, delle possibilità di impiego, dei progetti di vita e di sviluppo.

Questa è la vera sfida che avremo davanti nei prossimi anni: una sfida di dimensioni mostruose che non si risolverà certo il prossimo 25 maggio in quella sorta di “disfida di Barletta” cui sembrano voler dar vinta Renzi e Grillo.

Perché qui la posta in gioco non è la durata del governo Renzi o la permanenza in auge del medesimo, e nemmeno la carica anti-sistema dell’ex comico genovese. Qui ci giochiamo il destino di un secolo e le speranze di tre, se non addirittura quattro, generazioni, a cominciare dalla nostra, che possono trovare nell’Europa e nelle sue sconfinate risorse la propria fonte di riscatto oppure sprofondare nell’abisso di una vita senza sbocco, con l’unica certezza di essere destinate a fallire.

Dubitiamo che Grillo abbia la benché minima intenzione di comprendere la portata della sfida che abbiamo di fronte, ma ci auguriamo di cuore che almeno Renzi preferisca la vastità dell’orizzonte europeo al mediocre provincialismo di un populismo senza respiro, destinato a condannare l’Italia all’isolamento e all’irrisione.

Roberto Bertoni

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