Senza corpi intermedi non c’è democrazia

ROMA – Ha spiegato giustamente Stefano Fassina, su “l’Unità” di ieri, che “senza sindacati e organizzazioni di categoria si scivolerebbe facilmente nei movimenti dei forconi” e che “chi ha responsabilità politica è giusto che non accetti veti da parte di nessuno, ma una democrazia di qualità si fonda anche sul ruolo attivo e propositivo della rappresentanza economica e sociale”.

Il pericolo di una “ democrazia autoritaria”, come ha scritto Dazebao, c’è ed è concreto.

Non esordiamo così in preda a chissà quale furia anti-renziana, ma per fornire uno spassionato consiglio a un Premier che, da quando ha varcato la soglia di Palazzo Chigi, sembra aver smarrito un po’ del furore e della feroce determinazione che lo avevano caratterizzato nei mesi precedenti.

La difficile arte di governare

D’altronde, si sa: un conto è la campagna elettorale, quando le promesse non costano nulla, le sparate portano consenso e i toni alti regalano le prime pagine di tutti i giornali, specie se ti chiami Renzi e hai dalla tua un apparato mediatico di cui solo Berlusconi, per ovvi motivi, ha avuto la fortuna di disporre; un conto, poi, è la difficile arte di governare, quando alle promesse devono seguire le coperture economiche, le sparate è meglio evitarle perché si tramutano spesso in gaffe e i toni alti mal si conciliano con la necessità di trovare quei compromessi senza i quali la politica rischia di trasformarsi in un mero ciarlare senza costrutto.

Se a queste banali considerazioni, aggiungiamo anche la difficilissima fase che sta attraversando il Vecchio Continente, forse comprendiamo meglio le ragioni per cui il nostro eroe, dopo tante dimostrazioni di esuberanza, ci ha tenuto a precisare che le Europee del prossimo 25 maggio non saranno un referendum sulla sua persona. E invece sì che lo saranno, caro Renzi, altroché se lo saranno!

Lo saranno perché, purtroppo, negli ultimi vent’anni, qualunque elezione, comprese quelle per designare il presidente di un’anonima circoscrizione, si sono sempre trasformate in un giudizio sull’operato del governo nazionale.

Lo saranno perché la degenerazione appena descritta è frutto del degrado della politica, della scomparsa di partiti seri e credibili e dell’affermazione di leadership onnipotenti che hanno finito col sostituirsi ai partiti stessi, rendendo qualunque competizione elettorale un mero scontro fra persone anziché fra idee, proposte e contenuti differenti.Lo saranno perché il modello dell’“uomo solo al comando”, esaltato più volte dallo stesso Renzi, presuppone proprio questo: un leader solitario che “ci mette la faccia” in ogni circostanza, assumendosi le proprie responsabilità davanti al Paese e prendendosi le immancabili critiche in caso di insuccesso.

E lo saranno, infine, proprio per via dell’indebolimento di quei corpi intermedi (sindacati e Confindustria) che solo qualche mese fa discutevano e si confrontavano serenamente sul palco della Festa Democratica di Genova e che il nuovo corso del PD pare aver, invece, accantonato, preferendo un assurdo dialogo diretto con gli elettori, come se questi non fossero al tempo stesso lavoratori, industriali, artigiani, pensionati, in ogni caso membri, nella maggior parte dei casi, di quelle organizzazioni sociali che il Premier ha deciso di mandare in archivio, non tenendo conto che è solo per merito di essi se oggi, nel disastro dei partiti e nel vuoto della politica, non abbiamo anche in Italia un Front National o un’Alba Dorata a due cifre.

Il rischio di una deriva autoritaria cara alle forze della conservazione

Ma la verità è un’altra: Renzi, per la prima volta in vita sua, ha davvero paura. Ha paura perché ha visto l’esito delle Amministrative francesi e sa bene che il contesto socio-economico italiano non è molto dissimile, anzi è senz’altro peggiore; ha paura perché si sente solo e lo è, con un partito in larga misura ostile, una base disorientata e dei gruppi parlamentari allo sbando, soggetti a continui episodi di imboscate e tradimenti della parola data; e ha paura, infine, perché forse ha cominciato a capire che una modifica così repentina ed arbitraria dell’assetto istituzionale e costituzionale rischia di dare il là a quella deriva autoritaria tanto cara alle vere forze della conservazione: quel mondo della finanza speculativa e del capitalismo predone che ha tutto l’interesse a veder trionfare i dogmi del liberismo sfrenato e a veder soccombere le uniche forze, partiti, sindacati e associazioni di categoria, che da anni si oppongono come possono a chi sta cercando in ogni modo di sferrare l’attacco definitivo ai diritti dei lavoratori, alla dignità degli esseri umani, ai valori dell’economia reale e, più che mai, ai princìpi basilari della Costituzione nata dalla Resistenza, in risposta alla barbarie del fascismo e alla destrutturazione sistematica del tessuto sociale.

Una sinistra  incapace di proporre un modello culturale alternativo

In poche parole, gli effettivi sostenitori della” palude” hanno tessuto a meraviglia i propri fili, trovando troppo spesso davanti a sé una sinistra timida, incerta, incapace di proporre un modello culturale radicalmente alternativo e, in alcuni casi, addirittura scientemente complice di questo disegno distruttivo.

Non è accaduto solo in Italia: è accaduto ovunque, ed è da sciocchi sorprendersi del fatto che, privati di un’ideologia, di qualunque certezza e persino dei propri modelli e dei propri punti di riferimento, i cittadini oggi considerino più vicine ai loro interessi le aberranti idee di Marine Le Pen delle inesistenti idee di una sinistra che da due decenni a questa parte sembra vergognarsi di se stessa.

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