ROMA – Nella lettera aperta che Pino Salerno indirizza, da queste pagine, a Gianni Cuperlo c’è traccia di umori e sentimenti che suscitano coinvolgimento; e non soltanto perché evocano comuni esperienze di militanza, né solamente per prossimità generazionale.
Tuttavia, giunti al termine della lettura, è difficile sottrarsi alla seguente considerazione: capisco, ma che c’entra la nostalgia con l’analisi politica? Davvero l’unica alternativa al cinismo di certo “renzismo” è il rimpianto per il “buon tempo antico”?
La memoria è fondamentale, ma non come introibo alla celebrazione del rimpianto né come custodia dei ricordi più luminosi, bensì perché ci ammonisce a coltivare lo spirito critico. Quindi, innanzitutto, a comprendere senza subalternità i segni del tempo. Del tempo di oggi.
Da questo punto di vista la critica che si deve fare al PD, come a tutti gli altri soggetti politici oggi sulla scena (se altri ve ne sono), è la gracilità delle analisi sulla contemporaneità, sui rapporti di potere nella società reale, sulle nuove diseguaglianze e sulle nuove possibilità. Tanto che nel dibattito pubblico la nozione di modernità è per lo più utilizzata come sinonimo di rottura generazionale; senza contradditorio.
E’ la mancanza di sguardo sul futuro che rende perdenti e lascia campo a letture semplificate e strumentali.
Ma allora, francamente, che se ne farebbe l’Italia di un partito che si mettesse alla ricerca “del tempo perduto e dell’anima perduta” (per usare le parole di Pino Salerno)?
La nostalgia, caro Salerno, è un sentimento privato; conviene tenerla al riparo dalle intemperie del dibattito pubblico, o da incursioni di estranei.
Ciò che serve è l’impegno di ciascuno per costruire – come pure tu dici – “…un pensiero critico di sinistra”. Vi si può contribuire da fuori o da dentro il PD; questo, tutto sommato, è meno importante. Lo dice chi appartiene ad una generazione che ha vissuto molte volte l’illusione, o quanto meno la tentazione, della palingenesi politica di un nuovo inizio altrove. Quasi sempre svanita.
Più importante è esserci comunque; evitare che la disillusione o la nostalgia diventino alibi.