“La domenica senza precedenti”, nella Chiesa cattolica e non solo

ROMA – Alle sette della sera di una domenica 27 aprile 2014 che è già passata nei libri di storia, sciami di pellegrini attraversano ancora Roma, affluendo dalle fermate metropolitane, verso gli alberghi. È stata una giornata davvero lunga per loro, tormentati dalla pioggia pomeridiana e dalle difficoltà negli spostamenti in una città che sa diventare immensa, come Roma.

Dei due papi vivi, Francesco e Benedetto XVI che partecipano alla canonizzazione dei due papi forse più amati del secolo scorso, Govanni XXIII e Giovanni Paolo II, si è detto davvero tanto, forse tutto. Ne abbiamo scritto su Dazebao. Ciò che tuttavia nessuno poteva immaginare erano i volti delle centinaia di migliaia di pellegrini che hanno invaso Piazza San Pietro e praticamente l’intera capitale. Io li ho visti, scrutati, salutati, stanchi e felici, con gli occhi che ti guardano sorridenti per una sorta di meravigliata consapevolezza di aver preso parte all’evento che forse segnerà questo XXI secolo, e non solo. Nei pressi della metro B, alla Laurentina, un nutrito gruppo di giapponesi ha voglia di raccontarsi al giornalista, in perfetto inglese. Migliaia di chilometri per essere qui oggi, giapponesi cattolici, decisamente minoranza nel loro Paese. Uno di loro, forse un diacono laico, mi parla della loro devozione per papa Francesco. “Senza di lui, non sarebbe successo”, dice, mentre i suoi amici annuiscono. Vengono da Kyoto, e hanno perso l’aria tipica dei giapponesi in vacanza a Roma, tanti sorrisi e scatti fotografici. Le donne portavano tra le dita i rosari acquistati in Piazza San Pietro, col volto di papa Francesco. I più giovani non avevano Ipad, ma libri, di teologia, mi dicono, tradotti in giapponese. Una signora si avvicina al diacono e gli chiede di tradurre: “è la prima volta che sono in Italia. È la prima volta che vedo il Papa. È la mia preghiera che è stata ascoltata”. Per questa signora giapponese, non è stato uno show, la canonizzazione, l’evento trasmesso in mondovisione, ma una preghiera finalmente esaudita. Osservo questo nutrito gruppo di pellegrini cattolici giapponesi e penso che per loro si è trattato davvero di un evento dalla eccezionale portata religiosa. Ci salutiamo mentre altre centinaia di pellegrini fluiscono dal ventre della metropolitana. Decido di avvicinarmi ad un gruppo di cattolici inglesi. Osservo lo stesso atteggiamento dei giapponesi, ma forse di tutti coloro che per una giornata intera si sono chiesti cosa stesse accadendo, e che nel corso della giornata hanno cercato insieme di darsi una risposta religiosa non banale.

I cattolici inglesi erano parte di un gruppo di preghiera della diocesi di Leeds. La loro devozione si concentrava su papa Giovanni Paolo II. I ragazzi mi hanno raccontato di aver messo in scena un suo testo teatrale. Gli adulti mi hanno detto che le loro preghiere sono tratte dal libro di preghiere di Woytila. Cos’è stato Woityla per gli inglesi? “Ora finalmente è un santo che possiamo mostrare a tutti i cristiani della Chiesa d’Inghilterra”, risponde James Warren, professore di Storia. “La chiesa cattolica inglese ha vissuto un periodo drammatico, tragico. Dopo le vicende legate ai preti pedofili, molta gente disertava le parrocchie. Avevamo perso di credibilità. Adesso, con papa Francesco che ha cambiato la Curia qui a Roma e la benedizione di san Giovanni Paolo II, ci sentiamo più forti e determinati anche noi a cambiare le nostre parrocchie, se dovessero seguire le vecchie abitudini”.

Nelle parole di questo intellettuale inglese possiamo scorgere, ancor meglio di un editoriale, cosa davvero è accaduto domenica 27 aprile 2014 in piazza San Pietro a Roma e quale fosse il sentimento diffuso tra centinaia di migliaia di pellegrini di ogni parte del mondo. Dopo gli anni difficili dell’ultima parte del pontificato di Giovanni Paolo II. Dopo l’abdicazione dal soglio di Pietro da parte di Benedetto XVI, proprio per una sorta di senso di sconfitta nei confronti del potere curiale vaticano. In mezzo ad una società secolarizzata e scristianizzata, la Chiesa doveva battere il colpo più forte che aveva in canna: un papa nuovo e diverso, proveniente dal luogo più distante che mai si fosse pensato, un grande riformatore che ama il Vangelo di Cristo e la persona umana nella sua dignità. Papa Francesco ha prima conquistato la fiducia del miliardo di cattolici sparsi per il mondo. Ma poi, con la celebrazione di domenica 27 aprile, ha aperto la speranza ad una Chiesa che è capace di riformarsi, di rinnovarsi, rispettare donne e uomini. Mai rivoluzione fu più concreta e mite nella storia della Chiesa. Così, i cattolici che erano a Roma per la canonizzazione di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, hanno capito che l’evento si spiegava per la presenza di quel papa argentino, donatore di speranza di cambiamento della Chiesa, e non solo della Chiesa. La consapevolezza che mi è sembrato di aver colto negli occhi dei pellegrini che ho incontrato a Roma era proprio questa: la Chiesa finalmente non segue più il mondo, ma torna ad essere Mater et magistra, proprio come aveva insegnato Giovanni XXIII, nella sua enciclica forse più impegnativa.     

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