Un’altra idea di Rai

ROMA – Intendiamoci. Di fronte all’iniziativa del governo, ruvida tanto nella sostanza quanto nell’accidente, è auspicabile che si determinino risposte né banali né difensive. Il sistema dei media italiano ha una storia di orrori, censure (non per caso siamo al 57° posto per il tasso di libertà di informazione),  conflitti di interessi, assenza di normative antitrust stringenti.

La riforma della Rai, immaginata come holding pubblica aperta a ventaglio sui diversi segmenti della crossmedialità, fu messa in cantiere diciotto anni fa e il disegno di legge che racchiudeva le scelte di modernizzazione e affrancamento dal mondo politico –ddl n.1138- percorse come una via crucis le tappe degli anni dei governi Prodi-D’Alema-Amato. Fino all’insabbiamento finale dovuto all’ostruzionismo delle destre e alle divisioni del centrosinistra. Seguirono vari tentativi, che si rintracciano in numerosi testi depositati nelle legislature successive, tra i quali è utile ricordare il testo depositato da Tana De Zulueta. A quest’ultimo, miscelato con i coevi articolati Giulietti e Zaccaria, si è ispirato il pregevole articolato messo a punto dal “Move On”, ora a disposizione della discussione. Ecco, lì si trova un reale embrione di una linea alternativa a quella prevalente, fatta di (s)vendite e di tagli. Alle smanie privatizzatrici, nonché alla diminutio del ruolo pubblico, la risposta adeguata non è la mera barriera difensiva, bensì un’altra idea di Rai.  Bene comune, luogo di accesso libero e democratico alla società dell’informazione.

Motore di un universo governato da un consiglio di garanzia in cui abbiano un peso determinante gli utenti: cittadini e non tele-corpi. E con la possibilità per tutti di poter ricorrere al giudice per tutelare i diritti. Via i partiti dalla Rai, ha ripetuto anche Matteo Renzi. Ottimo, e via anche lobby e salotti, gruppi e circoli di potere. Si risparmi sugli appalti, non sulla dislocazione territoriale. Sui compensi- in diversi casi assurdi-  e non sulla proprietà pubblica degli impianti. Insomma, i poli dialettici non sono gli innovatori e i conservatori. Sono, piuttosto, la tristezza dei ridimensionamenti recessivi da una parte, un nuovo spirito riformatore dall’altra. Si discuta in maniera trasparente, come ha proposto “Articolo 21 e come fa la Bbc”, dei contenuti del rinnovo della concessione con lo stato. Insomma, la vicenda della Rai merita di assurgere al livello che merita, di questione democratica, non di pura contabilità. Ecco. Non si può immaginare una moratoria dei tagli, per illuminare la strada da prendere?A

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