Giornalismo e formazione, le sfide del Terzo Millennio

ROMA – Tempi non facili per il giornalismo. Non da oggi, comunque. In estrema sintesi è questa l’attuale fotografia del nostro mondo dell’informazione, che sta subendo gli effetti negativi di una crisi partita da lontano ed ancora non sembra sia arrivata alle ultime battute. Dovuta in parte da Internet e dai blog, che non hanno confini e tanto meno oneri.

A leggere i comunicati diramati dalla Fnsi e dall’Associazione della stampa romana, nonché quanto riporta il giornale online del sindacato della Calabria, è come se si stesse di fronte a dei Bollettini di guerra, che non registrano altro che sconfitte. L’ultima è fornita dall’equo compenso, che poggia le sue radici sulla Carta di Firenze, la cui paternità è del Consiglio nazionale dell’Ordine, e sulla proposta di legge di Silvano Moffa tramutata dal Parlamento in una legge dello Stato. Proprio sui contenuti dell’equo compenso ci sono state delle frizioni e scintille tra le due massime istituzioni della categoria.  Lo spunto il “Ricongiungimento”. Un nuovo provvedimento adottato extra legem dal Consiglio nazionale dell’ordine, che consente ai pubblicisti di andare a sostenere l’esame di idoneità professionale se posseggono determinati requisiti. La novità è sulla retribuzione. Non più quella che finora ha percepito il praticante, criterio adottato per   i free lance che ambivano a diventare professionisti. Per il Ricongiungimento bastano pochi euro all’anno, tanto che viene alla memoria un certo Jean Bodin ed il legibus solutus. 

L’accordo fra Fieg e Fnsi sul lavoro autonomo non è assolutamente condivisibile. Potrebbe essere un punto di partenza. Come altrettanto non condivisibile è l’accordo sul nuovo contratto nazionale di lavoro giornalistico, contestato da diverse parti e non è mancato chi ha chiesto le dimissioni dell’attuale segretario generale, Franco Siddi, nonché la convocazione di in congresso straordinario. Ma che il risultato fosse quello conseguito non è una novità. Nel mondo del lavoro è tutto in divenire. I contratti collettivi sono sotto osservazione e si punterebbe su quelli aziendali. La Fnsi, a suo dire, ha difeso il contratto collettivo.

Le componenti sindacali del giornalismo italiano che non condividono la politica di “Autonomia e Solidarietà” l’avevano già messo in conto ed erano considerate delle Cassandre. E non fanno mistero della loro posizione, della loro avversione al risultato come non lo fa l’Associazione della Stampa Romana, che contesta in toto l’accordo firmato, che prevede, tra l’altro, una lunga dilatazione dei tempi per corrispondere la cosiddetta “fissa”. Una aggiunta sulla liquidazione allorché si è collocati a riposo. Lunghi tempi di attesa e meno probabilità di incassarla.  

L’attività professionale, è sotto gli occhi di tutti, si sta spostando dalle redazioni al libero mercato. L’obiettivo era appunto un decente tariffario che consentisse un ragionevole livello di vita. Qualcosa di più delle pensioni sociali. Sul lavoro autonomo c’era già stata una denuncia tramite il “Libro bianco sul lavoro nero” scritto da Renzo Santelli circa dieci anni addietro. Una fotografia su di una cruda realtà, che si è sempre di più incancrenita. Cosa fa fatto “Autonomia e Solidarietà” che da tempo immemorabile è alla guida del sindacato unitario, che non supera i 22 mila iscritti tra professionali e collaboratori, per dare una svolta? E’ una domanda che si sente circolare e che avrebbe bisogno di una risposta.

A preoccupare non è solo il lavoro sottopagato, che già di per sé costituisce un pesante problema. C’è pure quello occupazionale, nonostante l’Italia sia considerata il paese dei giornalisti, unitamente ad una domanda che peregrina non è per niente. Dove sta andando il giornalismo? Su questo quadro non idilliaco gli iscritti all’albo, professionisti e pubblicisti, hanno incontrato la formazione permanente e i suoi crediti formativi da acquisire. Un “regalino” dell’ultimo governo Berlusconi, avallato da quello presieduto da Mario Monti,

In che cosa consiste questo regalino? E’ presto detto. Ciascun iscritto all’albo con una anzianità superiore a tre anni è obbligato ad andare a “scuola” ed acquisire 20 crediti formativi. E i crediti per ogni “evento formativo” sono stabiliti dal Consiglio nazionale dell’Ordine tramite una apposita commissione. E questi si possono avere attraverso la partecipazione a corsi, seminari, master, con la pubblicazione di libri sui problemi professionali, con l’insegnamento universitario di materie attinenti all’informazione e con la presenza come relatori in eventi e quant’altro posso servire allo scopo. 

Il tutto “dovrebbe” essere a titolo gratuito, sovente non lo sono, e gli eventi dovrebbero essere direttamente organizzati dagli Ordine regionali anche in collaborazione tra di loro e innanzitutto con le università statali. Non dando la precedenza a soggetti privati che mirano legittimamente al profitto. L’esperienza finora acquista fornisce una immagine in chiaroscuro. Non sempre i privati pubblicizzano come sarebbe necessario le loro iniziative e si assiste a una certa propensione a delegare la formazione a soggetti terzi.

Senza dubbio la formazione è da considerare una lodevole iniziativa, al di là dei giudizi personali ed averla definita “un regalino”, se approfondisce temi professionali e fornisce conoscenze sui possibili sviluppi della professione, sulle nuove tecnologie e sulla deontologia. Chi più sa ha maggiori possibilità di vincere le sfide che il Terzo Millennio sta disseminando lungo la strada dei professionisti. Tuttavia è il pubblico a dare le maggiori garanzie.

Ogni cosa ha sempre il suo rovescio. La formazione ha necessità di risorse e queste dovrebbero essere assicurate dal Consiglio nazionale. Le mette a disposizione dei Consigli in regola con le contribuzioni spettanti all’istituzione. In caso contrario niente ed ecco che si è aperta la caccia ai morosi per depennarli dall’albo ed ai pubblicisti tramite la revisione prima dello scadere dei 15 anni di iscrizione. Non deve essere dimenticato che l’ordine è un ente pubblico e i soldi pubblici sono sacri.

Quale conclusione sulla formazione permanente? Sono i Consigli regionali possono dare il loro assenso ai corsi, dopo aver esaminato programmi, materie, docenti e costi, e questi debbono essere a titolo gratuito. Totale chiusura a pseudo formatori. Chi fa formazione deve avere un adeguato curriculum da formatore. E gli stessi docenti debbono essere di alta e comprovata professionalità.

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