Alitalia e il giornalismo da strapazzo alla ricerca del capro espiatorio

ROMA – Ci risiamo. Esattamente come nel 2008 l’attenzione si sposta sempre sui lavoratori ‘privilegiati’ e mai sulle responsabilità di chi continua a fare scelte scellerate che finiscono per penalizzare un po’ tutti. Parliamo dell’inchiesta uscita recentemente su un noto settimanale in cui si sottolinea scandalosamente le responsabilità dei lavoratori Alitalia che andranno in mobilità dopo l’accordo con Etihad e che manterranno delle buste paghe per 5 anni, 6mila euro per alcuni piloti, a fronte di  un “normale lavoratore, che può arrivare a percepire al massimo 1.100 euro al mese per due anni”.

Insomma, somme sostanziose pari all’80% del vecchio stipendio, mantenute grazie agli accordi azienda, governo e sindacati che prevedono l’integrazione del Fondo speciale alimentato dai 3 euro che ogni passeggero versa quando acquista un biglietto Alitalia. Tutto vero, anche se il settimanale in questione non ha scoperto l’acqua calda, considerando che l’accordo è esattamente lo stesso del 2008, nonostante i tempi tra cassa integrazione e mobilità siano diversi.

Per carità, tanto di cappello quando tutto è riportato con la massima onestà e trasparenza, ma che si voglia ancora mettere alla gogna i lavoratori, alludendo ai soliti privilegiati mantenuti sulle spalle dei cittadini è veramente vergognoso.

Inutile dire che l’obiettivo di un certo tipo di informazione rimane sempre lo stesso, ovvero quella di far ricadere le colpe sui lavoratori Alitalia, rei di essere stati cacciati da un’azienda, mantenendo ‘elevati’ standard di vita che si ripercuotono inevitabilmente sui passeggeri. Viene in mente addirittura un articolo pubblicato sempre nel 2008, da un noto quotidiano nazionale, che parlava di un servizio dedicato a hostess e piloti che venivano prelevati da casa a inizio volo, addirittura con una Limousine che li avrebbe sempre riportati al domicilio a fine volo. Balle che hanno dell’incredibile, scelte accuratamente per far ricadere sulla classe dei lavoratori le responsabilità di un’azienda al tracollo. Nessuno ha mai scritto però che quel servizio di prelievo e riaccompagno, tra l’altro trattenuto anche dalle buste paghe degli stessi lavoratori che ne usufruivano, nacque negli anni ’70,  per evitare che i naviganti si sfracellassero, come a volte è accaduto,  sulla Roma Fiumicino al rientro dei voli di lungo raggio. Ma non solo. Non dimentichiamo che questo servizio da ‘privilegiati’ dava da lavorare a una cooperativa formata da centinaia di persone che ora non esiste più.

Il punto è che ad oggi non sembrano essere cambiati gli obiettivi, cioè quelli di abbattere una categoria scomoda martoriata dai soliti luoghi comuni, da chi la professione del navigante non la conosce affatto e punta a indovinare. Basterebbe andare dai questi lavoratori ‘privilegiati’ e chiedere loro se sono contenti di lasciare il loro posto. Sarebbe sufficiente spulciare le cause ancora in corso che sono state intentate contro Alitalia da centinaia di dipendenti messi a terra nel 2008, piloti inclusi,  senza una ragione precisa, che alla succosa  cassa integrazione  avrebbero preferito lavorare e che invece il prossimo ottobre 2015 si vedranno bruciare tutte le loro aspettative.

Sarebbe più onesto nei confronti dei cittadini indagare su come si godono la vita quei fantomatici manager che hanno guadagnato stipendi milionari, lasciando l’azienda in brache di tela, magari puntando il dito verso chi ha reso possibili certi accordi sia nel 2008 che in questo recente dell’Etihad, dove si promettono mari e monti, ma si licenziano ancora lavoratori.

Una grossa fetta di responsabilità del fallimento Alitalia va tutta ricercata in una classe dirigente, politica e sindacale incapace, che ha scelto anche e soprattutto per chi adesso il lavoro non ce l’ha più. Nessuno è senza peccato, ma quando si cerca il capro espiatorio in un’azienda, dove pochi eletti hanno fatto il bello e il cattivo tempo, bisognerebbe ricorrere al buon senso.

 

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