Scuola. La dignità calpestata degli insegnanti

ROMA – Sarebbe troppo facile scagliarsi contro il duo Renzi-Giannini per quanto è avvenuto in Senato a proposito della cosiddetta “Buona scuola”, che di buono non ha proprio nulla; talmente facile che ci guarderemo bene dal commettere quest’errore.

Perché la colpa non è solo di Renzi; anzi, a Renzi e al suo ministro va riconosciuta una coerenza tetragona con le proprie pessime idee. La colpa è, soprattutto, della sedicente minoranza del PD, ormai non più credibile, evidentemente priva della saggezza necessaria per comprendere che, votando a favore di una riforma così sbagliata, contestata e inaccettabile, ha perso l’ultima occasione per recuperare un minimo di dignità, credibilità e fiducia da parte della gente.

Ero in piazza e l’ho visto il mondo della scuola, ho guardato negli occhi decine di insegnanti, li ho visti sdraiarsi per terra e coprirsi con un lenzuolo per fornire un’immagine forte e simbolica della distruzione definitiva della scuola la pubblica; li ho ascoltati e sentiti gridare tutta la propria rabbia, il proprio sgomento e poi ho confrontato i loro sentimenti con quelli di alcuni illustri esponenti del PD, da sempre contrari a Renzi, un tempo persino stimabili, ormai irriconoscibili, incomprensibili, asserragliati dentro un fortino assediato che presto li espellerà perché il segretario di quel partito, dovrebbe essere chiaro a tutti, non è tipo da fare prigionieri.
Ho letto certe riflessioni, se è lecito chiamarle così, e ho provato un senso di vergogna. Vergogna per ciò che è diventato il partito in cui ho militato per cinque anni, contribuendo, nel mio piccolo, a redigere il programma per la scuola; vergogna per come sono cambiate determinate persone, disposte ad accettare leggi e riforme contro le quali un tempo sarebbero scese in piazza insieme a questo sventurato mondo; vergogna per non aver capito per tempo che avevo a che fare, specie in alcuni casi, con gente pronta ad anteporre la carriera a qualunque valore; vergogna perché in quel raffronto impietoso fra argomentazioni più che discutibili e le preoccupazioni sincere e tangibili di persone che a settembre non sanno se avranno ancora un lavoro e, se possibile, qualche sicurezza ho visto la divisione netta, forse insanabile, fra quello che viene pomposamente definito il “Paese reale” e i palazzi del potere nei quali dovrebbe esprimersi la sua rappresentanza. Vergogna, sgomento e dolore per quella che il mondo della scuola percepisce come l’ennesima ingiustizia: un affronto vigliacco, uno scagliarsi contro i più deboli, contro chi non ha voce né possibilità di difendersi, contro chi si sa bene che verrà ignorato da una parte dei media e schernito dall’altra, con qualche rara eccezione che presto si perderà nel frastuono delle voci.
Vergogna, inoltre, per quelle strade presidiate da uno spiegamento di forze dell’ordine mai visto, nel tentativo di tenere i cittadini sempre più lontani dalle istituzioni, come se non bastasse la disaffezione che si respira in ogni dove, con il cinquanta per cento della popolazione che non va più a votare, non sentendosi rappresentata da nessuno.
Vergogna, infine, per il disprezzo mostrato nei confronti dei sindacati e delle opposizioni, ancora una volta mortificati con arroganza, umiliati con spregio, trattati con sufficienza come se fossero fastidiosi ostacoli sul cammino delle grandi riforme e non indispensabili presidi della democrazia e del confronto civile fra diverse visioni della società e del futuro.
Il guaio è che in questo Paese, ormai, è difficile scorgere una visione politica e uno sguardo d’insieme dei problemi che lo affliggono, al punto che si cita in continuazione papa Francesco non perché sia scoppiata un’improvvisa febbre papista ma per il semplice motivo che è l’unica personalità credibile e capace di indicare un sentiero di pace, benessere, umanità, condivisione, ossia di farsi portavoce di quegli ideali di cui tutti avvertiamo più che mai il bisogno ma che la politica, in preda a una deriva liberista senza ritorno, non è più in grado di comprendere né di interpretare.
E così, in quel corteo carico di sofferenza, in quella piazza blindata e militarizzata, osservando gli striscioni e le testimonianze di chi sta vivendo sulla propria pelle questo dramma senza precedenti, mi sono tornati in mente i volti di alcuni giovani parlamentari dei diversi partiti che ho a lungo considerato di scarso interesse o, in qualche caso, gratuitamente denigrato in base a un pregiudizio tanto stupido quanto, a mia volta, codardo e mi sono reso conto che anche in Parlamento, proprio come nel resto della Penisola, le persone più colte, più competenti, animate da un minimo senso di giustizia e dalla volontà di battersi per il bene della collettività sono quelle che tendiamo costantemente a escludere, a relegare nelle retrovie, a guardare quasi con compassione, come a dire: “Poveri illusi, credono ancora di poter cambiare il mondo!”. Sì, forse loro ci credono davvero, forse sono ingenue, sognatrici, eccessivamente idealiste, ma viva l’ingenuità, il sogno, la speranza e l’idealismo se l’alternativa è il cinismo più bieco, il pragmatismo cieco e senza respiro, la malvagità gratuita, l’incapacità di ascoltare le ragioni dell’altro, il riformismo dall’alto a scapito dei più deboli e al servizio dei poteri forti che garantiscono finanziamenti, voti e vittorie elettorali! Viva quelle persone che preferiscono perdere piuttosto che perdersi e rinnegare la propria storia, la propria cultura, la propria identità e le proprie tradizioni! Viva quella ragazza che cita orgogliosamente Berlinguer pur non avendo mai vissuto quella lontana e mai così rimpianta stagione! Viva chi ha scelto un circolo di periferia per dire addio a un partito ormai irrecuperabile e tornare fra la gente che, non a caso, lo ha accolto con affetto, stima e profonda riconoscenza!
Quanto al resto della minoranza dem, cui in alcuni casi, sia pur esigui, rinnovo la mia stima personale benché sia totalmente venuta meno quella politica, mi auguro che un giorno abbiano il coraggio di fare i conti con se stessi, con le tante occasioni perdute, con gli ideali della gioventù calpestati, con questa corsa verso l’abisso in cui hanno smarrito non solo la propria anima ma anche milioni di elettori, disgustati e increduli per questo tradimento in nome, unicamente, della propria poltrona e della difesa di un partito per il quale non vale più minimamente la pena battersi.
A settembre, con convinzione, tutti noi saremo ancora in piazza, probabilmente con qualche compagno d’avventura in più e con il desiderio irrefrenabile di riscattare la dignità calpestata degli insegnanti, costruendo insieme a loro un progetto per la scuola radicalmente alternativo a quello imposto da un soggetto politico che non ha più nulla a che spartire con la sinistra e con la sua ragione di esistere.
Addio minoranza dem. Senza rimpianti.

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