Scuola. Riforma sostegno: cambiare come?

ROMA – Difficile commentare ciò che sta avvenendo riguardo la riforma del sostegno e del relativo concorso che dovrà essere bandito entro il 1 dicembre come è esplicitato nella legge.

Diversi punti oscuri contornano la vicenda e per i docenti specializzati di seconda fascia, giorno dopo giorno, il silenzio al quale sono destinati sta assumendo sempre più i tratti di uno psicodramma, al quale sono ineluttabilmente destinati da qualche anno a questa parte.

Nessuna notizia relativa al concorso filtra, l’unica cosa certa è che l’organico di sostegno attuale è ampiamente sottodimensionato ed anche quest’anno le deroghe, antitesi della tanto sbandierata continuità didattica, saranno corpose, mentre ai box giacciono gli specializzati di seconda fascia, esclusi dal piano assunzioni nonostante numerosi posti disponibili. Docenti che, dopo un corso polivalente altamente formativo, di durata annuale, con selezione in ingresso, esami in itinere e finali, tirocinio diretto e indiretto, dovranno sottoporsi ad ulteriore selezione. Benissimo, purché avvenga, ma la domanda che ci attanaglia è come verranno banditi i posti sul sostegno e con quali regole di assunzione. 

Di mezzo c’è la volontà del Governo, ed in primo luogo del Sottosegretario Faraone, di mutare il ruolo dell’insegnante di sostegno e lo farà attraverso lo strumento della legge delega. Carta bianca su una materia che invece andrebbe ampiamente discussa ed analizzata con chi i problemi e le virtú dell’inclusione li vive ogni giorno. 

Di mezzo ci sono anche gli specializzati del I Ciclo che, completamente esclusi dal dibattito ad oggi, mal tollererebbero una separazione tout-court delle carriere già dal prossimo concorso.

Vero pallino del Sottosegretario infatti è, in accordo con la FISH, la maggiore specializzazione dell’insegnante su patologie complesse, peraltro assolutamente minoritarie nelle certificazioni, separandone le carriere. Insomma un profilo più medicalizzato dell’insegnante (“patologia” e “deficit” sono i termini più ricorrenti nelle indiscrezioni), blindato sul ruolo di sostegno per 10 anni, al quale non sarà richiesto il titolo abilitante per conseguire il titolo di specializzazione nel prossimo futuro.

Una riforma del sostegno così pensata tenderà ad aumentare inevitabilmente il processo di delega, la medicalizzazione della figura professionale del docente ed in ultima analisi l’esclusione in stretto accordo con il ruolo separato che si vuole attribuire al docente. Un docente specializzato, esperto di pedagogia e didattica, utilizza le sue competenze per tessere un dialogo partecipato col docente curriculare, tale da rendere l’esperienza didattica virtuosa per tutta la classe. Lo dicono praticamente tutti i docenti di sostegno e i docenti di pedagogia speciale. Ci si preoccupa invece, di far restare il docente sul sostegno più a lungo possibile, perché il sostegno sarebbe addirittura un “trampolino di lancio” per la carriera, come dice Vincenzo Falabella della FISH, associazione di categoria coautrice della proposta di riforma. 

Basterebbe allargare un po’ lo sguardo e l’orizzonte per comprendere che il grande spauracchio del passaggio su disciplina -quando e se avviene- non porta a disperdere le competenze inclusive acquisite. Anzi! Queste diventano sempre più patrimonio comune della didattica di una scuola. Le competenze di un docente specializzato sul sostegno, quando questo passa su disciplina, diventano prassi didattica.

Non si comprende davvero tanto accanimento nei confronti di una delle figure più invidiate della scuola italiana, il cui corso di specializzazione è stato appena riformato per rispondere alle esigenze di una maggiore formazione del personale. Ciò che traspare, infatti, è che il Governo non sia perfettamente conscio del curricolo del percorso di specializzazione in vigore, delle competenze che certifica spendibili sia in ambito disciplinare che specialistico, e del quale non ha avuto nemmeno il tempo di valutare l’esperienza didattica dei docenti, appena specializzati. Ci chiediamo se sia assolutamente necessario stravolgere l’attuale corso di specializzazione o più saggiamente, se sia semplicemente più opportuno ritoccarlo nella direzione di una maggiore specializzazione, laddove necessario. 

La speranza che questa legge delega possa essere frutto di ascolto di tutti gli attori dell’inclusione, a partire dai docenti, è di là da venire. Il discorso è sempre quello, viene ripetuto come un mantra ossessivo che “occorre cambiare”. Siamo d’accordo, è importante migliorare e aumentare l’inclusione a scuola, ma come? Questo è il punto: il COME cambiare. Perché si può cambiare anche in peggio. E questo rischio è molto alto, soprattutto quando una riforma è il frutto del contributo univoco di una sola associazione di categoria con il Ministero. 

L’articolo pubblicato è stato scritto con la collaborazione del Coordinamento Specializzati Sostegno 2GI di cui l’autore fa parte

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