Natale, festa simbolica contro guerra e terrorismo

ROMA – E’ Natale. La festa più simbolica della nostra civiltà. Si intrecciano tematiche potenti e rivoluzionarie che è bene non lasciare sullo sfondo rispetto ad una tradizione che, arricchendosi di nuovi aspetti, rischia di sbiadirne l’essenza.

L’attesa della nascita ripercorsa ogni giorno all’indietro dai più piccoli con il Calendario dell’Avvento culmina nella celebrazione massima della Vita con l’arrivo del Bambin Gesù. Il figlio di Maria e Giuseppe diventa simbolicamente il figlio di tutte le donne e di tutti gli uomini del mondo e, crescendo, assumerà la guida e la responsabilità di portare il bene nel mondo. Una storia meravigliosa anche per chi non è credente, essendovi racchiusi quegli irrinunciabili principi di Misericordia, di fratellanza, di altruismo, di generosità, di amore per il prossimo, di progresso e di bellezza che rendono possibile la convivenza tra gli esseri umani e allontanano la barbarie.

E’ proprio a Natale che ci inchiniamo davanti al miracolo della nascita e dell’amore assoluto, incondizionato, immenso tra chi genera e chi è generato. Commuove fino alle lacrime la festa del villaggio degli umili , dei lavoratori e delle lavoratrici che, ciascuno con il proprio mestiere, porta in dono un pezzo di ciò che ha creato per l’occasione. La Vita festeggiata con il gesto del Dono da parte di chi neppure ha un legame con il nascituro è un messaggio dirompente nell’epoca moderna in cui si tende ad una sempre più timida manifestazione dei sentimenti, soprattutto di quelli positivi associati ad una debolezza d’animo più che alla loro innegabile nobiltà. Un messaggio trasversale che deve essere recepito nella sua totale pienezza dai credenti e dai non credenti perché n è un insegnamento religioso, e al tempo stesso lo trascende nella sua grandiosità. 

Insieme a questa grande festa collettiva dove le famiglie si riuniscono intorno al loro albero e al presepe dimenticando anche gli attriti che fino a ieri li tenevano divisi e feriti, i protagonisti principali sono le bambine ed i bambini e la loro felicità. La sorpresa e lo stupore del mistero di Babbo Natale che arriva da così lontano ad esaudire i loro desideri come ricompensa di un comportamento meritevole sono la magia finale che rende questa la Festa delle Feste. 

L’anno trascorso, tuttavia, ci ha lasciato e ci lascia ancora in queste ore delle ferite inconsolabili. L’immagine del piccolo Aylan Kurdi che, insieme a suo fratellino e alla mamma, ha perso ingiustamente la vita nella speranza di lasciare la guerra, la miseria e la disperazione nella propria terra, come tutte le altre bambine e bambini morti nel Mediterraneo per inseguire lo stesso sogno, deve darci il senso di ciò che stiamo festeggiando oggi noi, che viviamo nella civiltà del benessere. Siamo un modello cui aspirano molte popolazioni che subiscono la tragedia delle guerre e del terrorismo. Ogni bambina o bambino che il mare inghiotte senza limiti rappresenta una nostra figlia ed un nostro figlio che scompaiono ingiustamente. I confini nazionali non corrispondono a quelli dei sentimenti umani e i nostri diritti sono i diritti di tutti. L’Italia e gli italiani stanno dando il meglio di sé nelle politiche sull’immigrazione e sull’accoglienza, in contrasto con una visione europea cieca ed egoista che addirittura ci sanziona perché salviamo tante e tante vite umane. I rappresentanti delle istituzioni non perdono occasione per mettere al centro la ricerca di una soluzione condivisa perché il mondo è un posto sempre più condiviso anche da chi sembra così lontano o diverso da noi.

Questo Natale, questa grande festa nella sua sacra religiosità e nella sua laica narrazione di una storia d’amore e di altruismo, va dedicata ai due simboli della follia della guerra e del terrorismo. Uno di essi è l’innocenza brutalmente interrotta del corpo senza vita del nostro Aylan con i suoi calzoncini, le scarpine e le sue manine inermi. L’altro simbolo ferito è la nostra Valeria Solesin, la ragazza modello, studiosa e ricercatrice, ma soprattutto portatrice di una umanità esemplare che rendeva gli ultimi i primi: e che, senza medaglie sul petto, come molte ragazze e ragazzi, con un’etica del dovere inappuntabile, sapeva studiare, donare e amare.

Auguri Aylan, auguri Valeria non vi dimenticheremo mai. La vostra assenza oggi, al vostro albero, al vostro presepe agognato o reale non ci consola, ma ci dà la forza perché tutte le bambine e tutti i bambini, tutte le ragazze e tutti i ragazzi trovino una società accogliente e capace di ascoltare e di donare tutto ciò che vi meritate.

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