Demografia. La bomba al rallentatore che mette in pericolo l’Italia

ROMA – I fenomeni demografici sono lenti, hanno bisogno di anni, o decenni, per realizzarsi e possono avere conseguenze su periodi molto superiori alla durata della vita umana.

E’ ormai da qualche anno che l’andamento del saldo della popolazione, ed in particolare il fatto che la popolazione stia diminuendo, nel nostro Paese ha cominciato a preoccupare chi si occupa specificatamente di demografia. Ma la riduzione della popolazione sta acquisendo una velocità tale da dover riguardare tutti, vediamo perché.

I dati di partenza

Nel corso del 2015 si sono incrociati due dati record con riguardo alla popolazione italiana, che riportiamo nella elaborazione del professor Gian Carlo Blangiardo. Da una parte l’improvviso aumento nel numero di decessi e dall’altro la ulteriore riduzione nel numero dei nuovi nati.

Il numero dei decessi in Italia nei primi 8 mesi del 2015 ha subito un’impennata senza precedenti in tempo di pace facendo segnare più 11,3 per cento rispetto all’anno precedente, un incremento che se confermato a dicembre 2015 porterebbe i decessi a sfiorare le 670mila unità contro le meno di 600mila dello scorso anni.

Il numero dei nuovi nati nei primi 8 mesi del 2015 è tracollato a circa 319mila, dato che proiettato fino a fine anno porta il numero dei nuovi nati a poco meno di 490mila unità.

Il saldo naturale

Il saldo naturale della popolazione, ovvero la differenza tra nati e deceduti, sarebbe quindi pari, per il 2015 a circa 170-180mila unità in meno, a questo numero va aggiunto il saldo migratorio, cioè la differenza tra chi emigra dall’Italia e chi immigra in Italia, che viene stimato come positivo di 20-30mila unità nel 2015. Ciò porterebbe ad un saldo complessivo di circa meno 150.000 residenti nel 2015.

Per avere un’idea della grandezza del fenomeno teniamo presente che città come Livorno, Cagliari, Ravenna, Foggia e Rimini hanno, ciascuna, poco più o poco meno di 150mila residenti.

Questi i dati dei demografi. E quindi?

Abbiamo visto i dati elaborati dai demografi, che stimano e descrivono quello che è avvenuto nel corso del 2015. Facciamo ora un ulteriore passo avanti sulla base delle proiezioni Istat sull’andamento della popolazione italiana fino al 2065. Sulla base di queste proiezioni lo Svimez aveva infatti lanciato un fondato allarme sull’andamento della popolazione, in particolare nel Sud Italia.

L’allarme Svimez di luglio 2015

Nel luglio 2015 lo Svimez aveva pubblicato il suo rapporto annuale in cui descriveva, sulla base delle previsioni Istat, un Sud sulla via del collasso demografico. Secondo lo Svimez infatti “il Mezzogiorno sarà caratterizzato nei prossimi anni e decenni da uno stravolgimento demografico, un vero e proprio “ tsunami” dalle conseguenze imprevedibili. In base alle previsioni ISTAT, infatti, il Sud, alla fine del prossimo cinquantennio, perderà 4,2 milioni di abitanti, oltre un quinto della sua popolazione attuale, rispetto al resto del Paese che ne guadagnerà, invece, 4,6 milioni”

Un allarme che oggi va rivisto in senso estremamente peggiorativo sulla base delle stime 2015.

Le stime Istat fino al 2065. Si va peggio del peggiore scenario

L’allarme Svimez era stato lanciato sulla base delle stime Istat relative all’andamento della popolazione in Italia fino al 2065. L’Istat aveva redatto queste stime in tre scenari, uno alto, uno intermedio ed uno basso, e lo Svimez aveva, secondo me correttamente, basato il proprio allarme sullo scenario intermedio.

Nello scenario intermedio il Mezzogiorno avrebbe perso 4,6 milioni di abitanti mentre l’Italia nel suo complesso avrebbe perso circa 700mila abitanti. Nello scenario basso il Mezzogiorno avrebbe perso, nel 2065, circa 6,2 milioni di abitanti mentre l’Italia nel suo complesso avrebbe perso circa  8,5 milioni di abitanti. Solo che i dati 2015 sono molto peggiori dello scenario basso.

277mila assenti all’appello

Lo scenario basso prevedeva infatti, per il 2015, una crescita della popolazione in Italiana pari ad oltre 127mila abitanti rispetto all’anno precedente. Il dato stimato dai demografi è invece, come abbiamo visto, un ribasso di circa 150mila abitanti. E la differenza tra una crescita di 127mila abitanti ed una riduzione di 150mila è di 277mila unità. Sono questi gli italiani che mancano all’appello al 31 dicembre 2015.

Ci avviamo a diventare un Paese da 40 milioni di abitanti?

La previsione dello scenario basso dell’Istat, se il trend visto nel 2015 si affermasse nei prossimi anni, sarebbe quindi battuta di gran lunga al ribasso e i 53 milioni di abitanti sarebbero a dir poco ottimistici. Del resto se proiettiamo i 490mila nuovi nati ed un flusso migratorio di 20mila unità annue la popolazione di equilibrio, con una aspettativa di vita media di circa 80 anni, sarebbe circa 40 milioni di abitanti con effetti devastanti.

Pil e debito pubblico. Che succederebbe?

Facciamo adesso due conti su ciò che potrebbe accadere ai nostri conti nazionali se la popolazione si riducesse in maniera sostanziosa.

Il Pil, come noto, è attualmente alla base di una serie di accordi e di vincoli che indirizzano il nostro Paese, ad esempio per la UE abbiamo un limite di deficit in rapporto al Pil.

Se la popolazione diminuisse di circa un terzo in 50 anni passando da circa 60 a circa 40 milioni solo per conservare il medesimo livello di Pil reale nazionale il Pil pro capite reale dovrebbe aumentare di circa il 50 per cento. Al momento quindi, per raggiungere l’obiettivo di una stagnazione quasi secolare, obiettivo tutt’altro che invidiabile, la ricchezza reale prodotta dai cittadini italiani dovrebbe aumentare del 50 per cento in 50 anni. Un obiettivo che al momento sembrerebbe al di fuori della nostra portata.

Allo stesso modo se la crescita del debito pubblico in termini reali, ovvero tenendo presente l’andamento dell’inflazione, venisse bloccata, obiettivo che pare ancora lontano, il debito pubblico pro capite, già elevatissimo oggi, aumenterebbe del 50 per cento. Quindi anche se il debito pubblico in termini reali smettesse la sua crescita il livello di debito pubblico pro capite diverrebbe comunque insostenibile.

Concludendo

Come dicevamo all’inizio i fenomeni demografici sono lenti, hanno bisogno di anni, o decenni, per realizzarsi e possono avere conseguenze su periodi molto superiori alla durata della vita umana. Non vanno visti come una bomba ad orologeria ma come una bomba che agisce al rallentatore, oggi la stiamo vedendo cadere sulle nostre teste e abbiamo ancora la possibillità di evitare che una lenta, inesorabile esplosione travolga il nostro Paese

 

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