Trivelle, è ora di fare chiarezza

ROMA – Da settimane, anzi da mesi ormai, molti parlano del referendum riguardante le trivelle in cerca di combustibili che ridurranno le coste italiane ad un colabrodo.

In molti, come al solito, hanno riempito la rete di inviti a votare SI per dire no o di barrare NO per dire si. Una gran confusione della quale è corresponsabile il governo che, fino ad oggi ha fatto poco o niente per chiarire l’oggetto del referendum ai cittadini. Anzi, con la decisione di invitare a non votare al referendum, il partito del premier forse ha reso le cose ancora meno chiare.

Per rendere evidente una volta per tutte l’oggetto del contendere ai consumatori, il CODACONS ha inserito nel COMITATO AMBIENTALISTI E CONSUMATORI: NO ALLE TRIVELLE, SI AL REFERENDUM  un gruppo di esperti: Roberto Cenci, di Varese, già componente della Commissione Europea per l’Ambiente, Salvatore Fasulo docente di Ecocitotossicologia  all’Università di Messina, Riccardo Maggiore, chimico ambientale dell’universita’  di Catania, Antonio Cuspilici medico igienista e Angelo Messina biologo ed esperto in problematiche ambientali. Il gruppo, completato da C.Alessandro Mauceri, che da decenni si occupa di problematiche ambientali, avrà il compito di valutare i rischi per i consumatori e per l’ambiente derivanti dalle due alternative contenute nella consultazione referendaria sulla base dei dati ufficiali disponibili. 

Dati, quelli relativi ai rischi connessi con le trivellazioni nel Mediterraneo, che, fino ad oggi, sono stati diffusi con il contagocce.  Basti pensare che solo recentemente sono stati messi a disposizione di Greenpeace alcuni dati ufficiali e parte delle rilevazioni raccolte dall’ISPRA. Delle oltre 130 piattaforme operanti in Italia, sono stati consegnati all’associazione ambientalista  solo una minima parte dei dati relativi ai piani di monitoraggio delle piattaforme attive in Adriatico e che scaricano direttamente in mare, o iniettano/re-iniettano in profondità, le acque di produzione: 34 impianti su 130. Delle altre nonostante le richieste più volte avanzate nessuno ha fornito dati ufficiali. Ciò potrebbe significare due cose. L’assenza di controlli da parte delle autorità competenti o, peggio, la volontà di non far sapere le conseguenze delle trivellazioni sull’ecosistema.

Un sospetto confermato dalla totale assenza su tutti i giornali di informazioni sulla marea nera causata da una piattaforma offshore che si è riversata pochi giorni fa al largo delle isole Kerkennah, in Tunisia. Una zona che dista solo 120 km da Lampedusa e che era nota, fino a qualche giorno fa, per le magnifiche spiagge (per non parlare del danno causato all’economia locale basata in gran parte ancora sulla pesca).  La perdita sarebbe avvenuta in una piattaforma a sette chilometri dalla costa. Sull’accaduto, Alain Langar ha detto: “Da anni ho sollevato questi problemi. Una completa ignoranza e un’incompetenza dei responsabili nazionali e regionali: silenzi radio”. E ancora, “Non pensano che al profitto finanziario”, “La sola e unica responsabile di questa catastrofe della marea nera è il responsabile della municipalità: perché ha dato l’autorizzazione all’esplorazione di questo giacimento sotto il treno dittatoriale del vecchio regime!”. 

Autorizzazioni che sono l’oggetto (sconosciuto ai più) del referendum. Il cui quesito sarà: “Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, “Norme in materia ambientale”, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di Stabilità 2016)”, limitatamente alle seguenti parole: “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”?

L’articolo 6 (comma 17) del decreto legislativo del 2006 ha introdotto il divieto di “attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare” delle trivelle entro 12 miglia dalla costa. Il governo Renzi, con la legge di stabilità 2016, ha modificato quella norma. E, come sempre lo ha fatto  a modo suo: da un lato ha ribadito che le società petrolifere non potranno più ottenere nuove concessioni entro 12 miglia dalla costa (una misura pensata, secondo i mal pensanti, proprio nel tentativo di annullare il referendum); in cambio quelle già esistenti potranno continuare a scavare e ad estrarre “sine die”, ovvero senza scadenza “per la durata di vita utile del giacimento”. Quello che chiede il referendum è proprio questo: che venga abrogata la parte sulla scadenza non certa delle concessioni. Nel casso in cui vincessero i “sì”, alla scadenza delle concessioni, queste non saranno rinnovate. Se invece dovessero vincere i “no” o se non venisse raggiunto il quorum, le concessioni sarebbero prorogate fino alla fine del giacimento. 

Una disputa che riguarda un settore importante soprattutto perché questo settore è in continua evoluzione: si pensi alle variazioni (del tutto innaturali) subite dal prezzo dei combustibili fossili negli ultimi mesi. Per questo riveste una particolare importanza la decisione del CODACONS di creare un panel di esperti per fornire ai cittadini informazioni chiare sui contenuti del quesito referendario e, soprattutto, sui rischi che si corrono concedendo alle società petrolifere i diritti di trivellare il fondo del Mar Mediterraneo. 

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