Renzi è più debole, quali prospettive politiche future

ROMA – Sbaglierebbe chi dovesse pensare che abbiamo a che fare con lo stesso Renzi di qualche mese fa perché non è così. Le sue aggressioni verbali alla minoranza e alle opposizioni, i suoi modi di fare, i suoi toni sempre sopra le righe un tempo erano un segnale di grande forza e di comprensibile tracotanza, essendo lui l’uomo che aveva condotto il PD alla vetta storica del 40,8 per cento dopo che la precedente gestione del partito si era fermata a poco più del 25, ma quei giorni sono finiti e, probabilmente, non torneranno mai più.

Il Renzi di oggi è un uomo solo e fragile, indebolito dalle inchieste giudiziarie che hanno lambito il suo Giglio magico, spaventato per lo scandalo che ha costretto la Guidi a rassegnare le dimissioni e terrorizzato dall’idea che inizi a franare la trincea prussiana che ha eretto all’interno di Palazzo Chigi per resistere agli assalti che gli provengono non solo dalle opposizioni, compresa quella interna dei bersaniani e di Gianni Cuperlo, ma anche da una stampa che, per quanto sempre votata all’adorazione del Capo, comincia a porsi più di un interrogativo.

Del resto, è bastato seguire la Direzione del PD di ieri pomeriggio per rendersi conto che pure la solidità del fronte renziano inizia a sfaldarsi, se consideriamo che uno dei massimi sostenitori del referendum del prossimo 17 aprile è il governatore pugliese Michele Emiliano, un tempo iper-renziano, e che l’altro grande sostenitore della consultazione è Ermete Realacci, addirittura un renziano della prima ora, fin dai tempi nei quali il gruppo parlamentare del PD, correva l’anno 2012, sosteneva compatto Pierluigi Bersani nella corsa delle primarie per la premiership.

Senza contare che ieri Speranza e Cuperlo, non proprio due noti guevaristi, hanno deciso per la prima volta di riporre in un angolo il fioretto e di colpire con la clava, dicendo sostanzialmente a Renzi che la sua segreteria è stata un disastro, che il partito sta perdendo pezzi da tutte le parti, che i territori non reggono più, che la base storica se ne è andata da tempo o, nei rari casi in cui è rimasta, è comunque infuriata e che non ne possono più di questo modo di fare sprezzante, intriso dell’arroganza tipica dei capi senza un’effettiva capacità di leadership. Come al solito, dopo aver scagliato il sasso, i due hanno nascosto la mano, minimizzando e giurando fedeltà alla causa in vista delle Amministrative, ma se persino un “piccolo lord” mitteleuropeo come Cuperlo e un onesto funzionario di partito come Speranza, candidato da Bersani alla segreteria per mancanza di alternative migliori, hanno trovato il coraggio di assumere una posizione tanto netta, significa che ormai la situazione ha superato il livello di guardia e che più che una scissione, rischia di verificarsi uno sfaldamento all’interno di quello che fu il più importante partito della sinistra riformista italiana.

Non ci sarà alcuna scissione per tre motivi: innanzitutto, perché né Speranza né Cuperlo né, spiace dirlo, lo stesso Bersani hanno abbastanza truppe credibili per darle seguito; in secondo luogo, perché ancora si illudono di poter salvare un partito che esiste ormai solo nei loro cuori e nei loro ricordi ma nel quale, pur non riconoscendovisi minimamente, si ostiano a credere; infine, perché, per l’appunto, non c’è alcun dramma da consumare, essendo giunti ormai alla farsa di un’opposizione interna che picchia mille volte più duro dell’esagerato Salvini e di un Movimento 5 Stelle il cui assalto all’arma bianca nei confronti del sistema ha sinora garantito una congrua opposizione al renzismo ma non ha favorito la nascita di alcuna alternativa all’altezza.

E proprio questo è il punto: la mancanza di credibilità delle opposizioni, che ormai sta assumendo, essa sì, le dimensioni del dramma.

Perché Renzi ha paura, tuona ma non asfalta più, preoccupato dall’idea di perdere oltre a Roma, forse, anche Torino e sicuramente Napoli; sa che i Bersani, gli Speranza e i Cuperlo gli servono per convincere l’elettorato di sinistra a fidarsi se non del PD quanto meno dei suoi candidati e per limitare i danni in una tornata elettorale che giunge a pochi mesi dal plebiscito d’autunno nel quale, con buona pace delle “prediche inutili” di Cuperlo, saremo chiamati a votare non solo sulla Costituzione quanto, più che mai, sul presidente del Consiglio, sul suo governo e sul loro operato. Ha paura ma può dormire, al tempo stesso, sonni assai più tranquilli di quanto egli stesso non creda, poiché persino il più critico degli elettori, che magari lo disprezza e non lo voterà mai, al momento, non può far altro che rifugiarsi, sia pur con un certo senso di vergogna, nell’astensione.

Tralasciando il duo Salvini-Meloni, che con ogni evidenza punta unicamente a conquistare la destra-destra e a ritagliarsi un segmento del 20 per cento, occupando uno spazio politico di tutto rispetto ma privo di alcuna ambizione di governo, il mio cruccio è costituito dall’evanescenza del M5S e della sinistra, tanto civatiana quanto sellina e fassiniana.

I 5 Stelle, infatti, sono regrediti a uno stadio di puro manicheismo: noi siamo i buoni e gli altri i cattivi, noi siamo i puri e gli onesti e gli altri i ladri e i corrotti, senza rendersi conto che, così facendo, viene meno ogni possibilità di instaurare un dialogo, un confronto e una proficua collaborazione proprio ora che ce ne sarebbe un disperato bisogno, specie in vista di referendum, quello già menzionato sulle trivelle e quello sulla “deforma” della Costituzione d’autunno, sul quale non saranno affatto gli unici ad esprimersi in contrasto al governo e ai suoi provvedimenti.

E anche l’ala più ragionevole tace, preferisce il quieto vivere, ha sotterrato l’ascia di guerra e aspetta non si sa che, recitando la parte dei “dieci piccoli Cuperlo”, ossia di persone colte e perbene ma prive del vigore necessario per far affermare le proprie idee e, pertanto, rassegnate ad un eterno cedimento: su un versante, alle espressioni e alle norme intollerabili dell’uomo di Rignano; sull’altro, ai dogmi e ai tabù sui quali si fonda un’esperienza politica che inizio a convincermi che sia nata per non arrivare mai al governo, pena la propria estinzione.

E fa rabbia vedere parlamentari giovani, preparati, competenti e che potrebbero contribuire a rendere migliore il Paese subire in silenzio ogni sopruso, compresa la mancata concessione del simbolo dopo aver lavorato per anni a un progetto politico, timorosi di esporsi, di spingersi al di là dell’orizzonte ristretto nel quale sono cresciuti, incapaci di rendersi conto che oltre la Casaleggio Associati e il Sacro Blog c’è un mondo da scoprire e un’incredibile fetta di elettorato da riconquistare.

Allo stesso modo, fa rabbia vedere chi ha una gloriosa tradizione culturale e politica da difendere picchiare come un fabbro e poi giurare amore eterno ad un partito che non esiste più e a un leader che non perde occasione per irriderli e subissarli di accuse umilianti.

In poche parole: Renzi ormai si regge unicamente sulla debolezza altrui, sulla mancanza di un gruppo autorevole di persone in grado di aggregarsi, di ricostruire una connessione sentimentale con il Paese e di sfidarlo apertamente, senza paracadute, mettendo in gioco se stesse e delle rendite di posizione destinate a rivelarsi effimere, specie se i due referendum summenzionati dovessero andargli bene.

E finché la sinistra non la smetterà di preferire un posto da assessore alle Soffiate di naso pur di portare avanti una stagione, quella arancione, referendaria e movimentista, che è stata uccisa in culla dall’avvento del montismo, facendo la figura ridicola dell’ultimo giapponese, finché la sinistra che pure ha trovato la forza di separare il proprio destino dal renzismo non si renderà conto che con esso non è possibile né, tanto meno, auspicabile compiere alcun tratto di strada, nemmeno a livello locale, sarà dura convincere le due dissidenze, quella dem e quella grillina, a prendersi per mano e a lasciarsi alle spalle esperienze che non torneranno più: né nella versione ulivista classica, in un caso, né in quella dimensione utopica che diede vita ai primi meet-up di cittadini stanchi di essere ignorati nell’altro.

Finché la rabbia non si trasformerà in proposta, la paura di se stessi in coraggio di osare e il muro di ostilità reciproca in dialogo sincero e costruttivo, fino a quel giorno, l’unica speranza di mandare a casa Renzi sarà quella di affidarsi all’azione delle procure o all’esaurimento del credito in Europa. Se permettete abbiamo già dato, e se oggi siamo ridotti così è soprattutto perché, terminato come peggio non si sarebbe potuto il progetto ulivista di Prodi e Andreatta, non siamo stati in grado, nei dieci anni successivi, di costruire una proposta politica di sinistra alternativa e credibile, consentendo a Berlusconi di vivacchiare fino al giorno in cui la sua agonia politica non si è trasformata nell’agonia morale, culturale, politica, economica e sociale dell’intero Paese. 

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