Emmanuel Renzi?

Domenica 7 maggio, da cittadino francese – oltreché italiano – voterò senza esitazioni Emmanuel Macron. Non subisco alcuna fascinazione per il suo programma e per il suo profilo. Sono di sinistra, e vorrei potermi riconoscere in un nuovo socialismo, fondato su un vero umanesimo globale.

Tuttavia il sistema elettorale francese – straordinario, in verità, poiché da più di venti anni riesce a contenere pulsioni antidemocratiche con un meccanismo a doppio turno che obbliga l’elettore a fare una scelta- porta a votare per questo democratico, neocentrista, che teorizza un “liberalismo egualitario”. Vedremo, la sera di domenica, quanto ai ragazzi che hanno scelto Jean Luc Mélenchon al primo turno, in nome di un rifiuto ad essere “sottomessi” non all’Europa ma alla moderna schiavitù nel lavoro, Macron avrà saputo parlare per sbarrare la strada a Marine Le Pen e per vincere bene, prime delle elezioni legislative dei primi di giugno. In quell’occasione, se Macron vince domenica, il sistema politico francese è destinato a mutare radicalmente, e con ogni probabilità si aprirà il problema delle alleanze di questo nuovo centro a destra e a sinistra.

Domenica 30 aprile, come molti altri -un milione e più che non sono tornati a votare-, da cittadino italiano -oltreché francese- non ho votato alle primarie del Partito Democratico. L’esito costituisce un punto di non ritorno nella vicenda politica del Partito che è nato sotto la pianta dell’Ulivo. Oggi Matteo Renzi, pur travolto dal voto referendario il 4 dicembre, torna in sella, riconosciuto come il condottiero, a un partito più piccolo e soprattutto mutato geneticamente e antropologicamente. Non c’è più l’Ulivo, e cioè l’incontro tra le grandi correnti culturali di sinistra e cattoliche democratiche che hanno attraversato la storia dell’Italia repubblicana, e forse neppure l’Olivastro. C’è, come Renzi ha detto chiaramente, “in cammino” -versione provincialistica dell’En Marche macroniano, che tuttavia porta le iniziali del leader centrista francese-. Non capisco perché il gruppo attorno al segretario del PD si risente quando si dice che questo Partito non è più di sinistra, né tantomeno di centrosinistra. E’ una vera e importante formazione centrista, radicata nella maggioranza dei ceti forti e dei quartieri borghesi delle città, appoggiata da una maggioranza di elettorato della terza età, spaventato dai grillini e dai loro proclami, forza che in Italia mancava, in queste dimensioni, dalla fine della Democrazia Cristiana. Macron non si offende, se gli dicono che non è di sinistra. Il PD -anzi, il PDR- non si deve offendere. Già nei territori una parte di elettori di centrodestra sente come “contendibile” -parola magica di questi anni, che la dice lunga sull’idea povera di politica che si è fatta strada- il PDR. Il decreto Minniti sul decoro urbano e, in queste ore, la licenza di sparare voluta dal PD alla Camera, in nome della legittima difesa, la dicono lunga sul fatto che, usando il titolo di un saggio di Piero Sansonetti, “la sinistra è di destra”. O meglio: che questo nuovo centro prenderà idee e valori di destra e di sinistra per acchiappare voti in tutte le direzioni.

Si tratta di uno spazio occupato, per altri versi e in modo speculare, dal M5S, che sempre più compie incursioni a destra cercando lì il proprio consenso. E tuttavia, questa duplice rincorsa su quel terreno, come dimostrano i sondaggi, in definitiva dice agli elettori che le destre radicali qualche ragione ce l’hanno.

Ciò che manca, in modo clamoroso, è una sinistra di tipo nuovo. Non penso che occorra rimpiangere la grande stagione dell’Ulivo. Esserne gli eredi vuol dire promuovere un’alleanza larga, inclusiva, non dominata dagli eletti, aperta alla società, ai movimenti e a tante soggettività, federativa, attorno a valori semplici. Quelli antichi e primordiali del socialismo che, contro il liberalismo, nacque per affermare l’indissolubilità tra diritti sociali e diritti individuali, tra la libertà nel lavoro e quella nella vita, il diritto a un’equa retribuzione e a una capacità di temperare e calmierare le ingiustizie e le differenze sociali. Si tratta dei valori scritti nella prima parte della Costituzione Repubblicana che una grande maggioranza di italiani ha ritenuto, lo scorso 4 dicembre, il vero scudo per riaffermare i propri diritti. Questi valori richiedono risposte radicalmente nuove, nell’era della globalizzazione e dell’innovazione, che non passano da frontiere e fili spinati.

Occorrerà probabilmente dopo il voto un’alleanza, anche col sistema proporzionale verso cui si sta andando. Questa sinistra deve proporre un patto chiaro contro le destre al nuovo centro nato il 30 aprile. Se la strada sarà per il PD quella di aprire ai contenuti della destra, questa sinistra avrà invece il dovere di una grande opposizione in nome della Costituzione. Il tempo è davvero poco, e spetta ad Articolo 1 e a Campo Progressista, e poi  a Sinistra Italiana, a Possibile e a tutti quelli che sono sinceramente disponibili a impegnarsi per una nuova sinistra di trasformazione e di governo dare qui ed ora un segnale chiaro e forte.

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