La sconfitta della democrazia

Siamo tornati lì, dove tutto era iniziato: al voto segreto, peraltro sacrosanto e pienamente legittimo, e alla vergogna dei patti traditi, disattesi, non rispettati dagli stessi contraenti che poi si dilettano a far volare gli stracci, in un tentativo di scaricabarile ai limiti dell’indecenza.

Siamo tornati all’aprile del 2013, quando centouno franchi tiratori, in realtà circa centoventi, se non di più, impallinarono Prodi per colpire, tramite il professore, Bersani e la sua contrarietà alle larghe intese.

Siamo tornati lì, alla vergogna di una legislatura tra le peggiori di sempre: una legislatura mai davvero iniziata, con una classe dirigente complessivamente inadeguata, una quantità di trasformisti che costituisce un vulnus per la democrazia e per la credibilità delle istituzioni, una miriade di strappi, forzature e lesioni della dignità della politica senza eguali e, infine, un clima di barbarie continua assolutamente intollerabile.

Quando, fra qualche anno, qualche romanziere o qualche regista deciderà di raccontare questi anni bugiardi, non potrà che parlare di un cumulo di macerie: una sconfitta collettiva in cui non si salva quasi nessuno, in cui quasi nessuno può dire “io non c’ero” né rivendicare di essere stato dalla parte della ragione o, quanto meno, del buonsenso perché, chi più chi meno, in questa stagione sono quasi tutti responsabili di ciò che sta avvenendo.

Ormai la follia ha raggiunto livelli un tempo impensabili, con un partito di maggioranza relativa, dotato di un numero di deputati di gran lunga superiore rispetto a ciò che gli spetterebbe per via di una legge dichiarata incostituzionale oltre tre anni fa, che, dopo aver varato una legge elettorale nuovamente incostituzionale e aver perso un referendum costituzionale basato su una riforma addirittura peggiore rispetto a quella berlusconiana che respingemmo nel 2006, oggi, anziché cambiare leadership, gruppo dirigente e linea politica, persevera lungo gli stessi binari che lo hanno condotto a sbattere e si appresta a far cadere il terzo governo della legislatura per la smania del suo capo di governare lui e solo lui. 

Senza dimenticare quel partito di opposizione, nato sull’onda della legittima rabbia dell’opinione pubblica contro una politica che da troppo tempo non fornisce risposte adeguate, con parole d’ordine come democrazia, trasparenza, sovranità popolare e via elencando, che da quando è entrato nelle istituzioni, ha venduto l’anima al diavolo di un potere agognato quanto e più degli altri.

Su Berlusconi e Salvini, e sui rispettivi partiti, abbiamo già scritto tutto ciò che c’era da scrivere: li conosciamo da troppo tempo per sorprenderci delle loro idee e dei loro comportamenti.

Il punto è che, al di là dell’angusto cortile in cui si muovono questi signori, c’è un Paese allo stremo, con un numero di disoccupati e di giovani precari senza precedenti, con un problema bancario grande come una casa, con una criminalità organizzata e un livello di corruzione allarmanti, con un’affidabilità internazionale ormai prossima allo zero e con una speculazione finanziaria pronta a spolparci, approfittando dell’instabilità e della mancanza di prospettive e di futuro cui ci stanno condannando questi leader senza popolo.

Chiunque abbia superato i sei anni, infatti, sa benissimo che non si farà alcuna legge elettorale, che al massimo verranno armonizzate le due leggi elettorali uscite dalla sentenza della Consulta, sempre se il Parlamento ne sarà capace, e che si andrà avanti così, di forzatura in forzatura, di strappo in strappo, di vergogna in vergogna, finché non ci sveglieremo una mattina in un Paese senza più né rappresentanza né governabilità. 

E la memoria torna a quel venerdì di quattro anni fa, quando la sete di potere e di vendetta indusse dei piccoli uomini a distruggere il PD e con esso, temo, il patto repubblicano che ci lega.

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