Le ultime parole famose. Così parlò (a vanvera) il Ministro

Una fortunata rubrica della storica Settimana Enigmistica s’intitolava “Le ultime parole famose” e induceva al sorriso ironizzando sull’imbarazzo che alcune cose dette in un momento suscitavano in un secondo tempo in chi le aveva dette.  Come dire: ”Voce dal sen fuggito poi richiamar non vale”, come avvertì per primo Orazio poi ripreso dal Metastasio.

I nostri politici in questo sono imbattibili. Sparano sentenze di cui poi si dovrebbero pentire. Toccò anche al taciturno Palmiro Togliatti: quando nel 1951  Aldo Cucchi e Valdo Magnani criticarono  il partito comunista per la sua sottomissione a Mosca.  Il “Migliore”, come lo chiamavano allora, prima li cacciò dal partito poi definì  i due fuoriusciti “pidocchi nella criniera di un nobile cavallo da corsa”, dove il cavallo era il PCI e lui chiaramente il cavaliere che lo avrebbe portato alla vittoria. Una vittoria che, poi si è visto, non sarebbe mai arrivata.

Alla conferenza di pace di Parigi, nel 1946, il primo presidente del consiglio dell’Italia repubblicana Alcide De Gasperi, salito alla tribuna nel suo cappotto rivoltato  (erano gli anni in cui il capo provvisorio dello stato Enrico De Nicola andava in treno pagando il biglietto di tasca sua) esordì: “Prendendo la parola in questo consesso mondiale sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia è contro di me”. Geniale. Era andato a negoziare un trattato di pace, difficilissimo  da ottenere per un paese sconfitto, e a chiedere aiuti consistenti per la ricostruzione dell’Italia ridotta ad un ammasso di macerie dai bombardamenti alleati. E ottenne entrambi. Ma quella era una frase giustamente storica o, meglio, della  preistoria della politica italiana.

Passando alla storia, “Il potere logora chi…non ce l’ha” fu la frase storica di Giulio Andreotti, di cui peraltro il leader democristiano non ebbe mai a pentirsi di averla detta,  neanche  quando il potere ebbe a perderlo lui  stesso. Ma prima, da Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega per lo spettacolo, si dichiarò pubblicamente contrario ai film del primo neorealismo (Sciuscià, L’onorevole Angelina, Roma città aperta) ammonendo che “i panni sporchi si lavano in famiglia”. 

Venendo ai giorni nostri, il florilegio non è da meno: “Non mi vergogno di riconoscerlo. Sono entrato in politica per comandare  e nel giro di tre anni intendo arrivare a farlo”. Lo disse  Rocco Buttiglione, docente di filosofia in un’università tedesca, quando aspirava a presiedere  il Partito Popolare italiano. Una lunga corsa, la sua, verso il potere: dalla Democrazia Cristiana passò al PPI,  poi al CDU (Cristiani Democratici Uniti), quindi all’UDR (Unione Democratica per la Repubblica), successivamente al PPE (Partito Popolare Europeo), infine all’UDC (Unione di Centro). Memorabile la battuta di Francesco Cossiga riferita da Gian Antonio Stella: “Scusate, sapete dirmi a quest’ora come la pensa Buttiglione?”.   Ministro sotto Berlusconi, non si è fatto mancare nulla: si dichiarò contro il divorzio, contro l’aborto, contro le coppie di fatto, contro il matrimonio gay, contro l’eutanasia, contro la distribuzione dei profilattici nelle scuole contro l’aids. Paladino della famiglia tradizionale, non mancò di sistemare  due delle sue quattro figlie: alla Rai la prima, Angela, che fino alla pensione ha condotto con garbo il TG1; l’ultima, Marina,  a Mediaset  dove ha fatto a lungo  la vaticanista al TG5, e il relativo marito,  Tommaso Ricci, redattore capo della cultura  al TG2. Almeno in casa sua ha comandato.

“Non mi importa  di avere un premio Nobel in lista, mi importa sapere  se voterà una legge di cui non sa nulla”. Sembra una frase di oggi di Beppe Grillo. Ma è di ieri  di  Claudio Scajola,  il parlamentare ligure che abitava una casa con vista sul Colosseo di cui era proprietario ”a sua insaputa” . Lo stesso che da sottosegretario  impose all’Alitalia di aprire un collegamento Fiumicino-Albenga, suo feudo elettorale, e quando non lo fu più e l’Alitalia abolì quella rotta fallimentare, tornò alla carica e riottenne il volo non appena fu fatto ministro. Finalmente la rotta Roma-Albenga è andata definitivamente in soffitta (ma l’Alitalia quante ne ha dovute subire di queste angherie dai politici del malaffare!). Scajola è anche quello che, da ministro dell’interno, ha dato del “rompicoglioni” al giuslavorista Marco  Biagi ammazzato dalle brigate rosse: “Insisteva tanto per avere la scorta. Così i morti invece di uno sarebbero stati tre”.

Beppe Grillo non passerà alla storia per  frasi memorabili, anche se parla in continuazione e spesso a vanvera.  Però anche lui: “A un competente traditore preferisco  un incompetente fedele”, e si riferiva al suo candidato imposto a Genova, poi finito nella polvere. “Di persone competenti  che hanno tradito il movimento ne ho viste abbastanza e personalmente sono stufo”, L’allusione al sindaco di Parma Pizzarotti che ha buttato alle ortiche la bandiera dei cinque stelle e si è fatto rieleggere alla grande senza casacca.

Ma di Grillo e dei suoi resterà ben poco. Resteranno di più  i congiuntivi sbagliati del suo vice-presidente della Camera De Maio. Entrambi sono ancora in tempo per recuperare, del resto gli italiani sono comprensivi: danno sempre ragione a chi urla più degli altri, lo hanno fatto a suo tempo con i fascisti, lo faranno ancora. Il pacato Gentiloni che, fedele al cognome, ha uno stile misurato deve farsene una ragione.

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