Politica, democrazia e lotta alle mafie

Vincenzo Musacchio, da sempre impegnato nella diffusione della legalità, contro la corruzione e le mafie. E’ presidente della Scuola di Legalità “don Peppe Diana” di Roma e del Molise nonché giurista e docente di diritto penale in varie Università italiane ed estere. Ha scritto molti articoli e saggi in materia di corruzione, criminalità organizzata e delitti dei colletti bianchi. E’ stato uno degli ultimi allievi di Giuliano Vassalli 

La politica è espressione di condizioni storiche, tradizioni, costumi, valori religiosi o morali e interessi particolari. Essa dovrebbe essere la massima espressione dell’umanità e quindi finalisticamente e consapevolmente indirizzata, nel processo di realizzazione dell’uomo non come mezzo ma come fine dell’ordinamento giuridico. La politica vera dovrebbe essere fattore di progresso morale e civile dell’uomo e le sue leggi dovrebbero adeguarsi alle attività dell’uomo nella società in cui vive. Questa concezione della politica, su cui si fonda il carattere della organizzazione sociale, si storicizza nella effettività dello Stato. In buona sostanza, lo Stato riflette il prodotto della storia degli uomini, il risultato di forze sociali in rapporto alle quali esso ha cominciato a esistere e alla cui modificazione è legato per il tempo e i modi della sua esistenza. Ma non siamo di fronte a forze di natura oggettiva. Anzi è vero forse il contrario. Tali forze spesso sono soggettivamente indirizzate dagli uomini verso la loro completa realizzazione. I diversi modelli che gli uomini si configurano come ottimi per il governo della società, portano alle dispute politiche, alla contrapposizione in partiti, alle forme di lotta ideologica. Queste lotte, sono un dato permanente della vita degli uomini. La realizzazione della libertà, finalità assoluta dello Stato perché affermazione completa dell’essere umano, si dovrebbe attuare nel “governo dei migliori”, che non è la ricerca astratta e utopistica dello Stato migliore, ma lo studio della possibilità di migliorare le strutture politiche di una società, considerando il gioco delle forze politiche e sociali effettivamente operanti e unificando gli interessi degli individui con le finalità dello Stato. La bontà di questo tipo di governo è giudicata dai suoi effetti: dalla possibilità cioè di garantire nell’immediato libertà, pace, sicurezza e lavoro ai cittadini. E’ quindi possibile, avendo ben chiari questi obiettivi definiti e reali, operare nelle strutture di uno Stato quelle modificazioni che possano garantire stabilità alla società e felicità agli individui. Forse come pensava Platone bisognerebbe alimentare l’aristocrazia del merito individuale dando spazio alla virtù. E’ quale sarebbe la virtù di un politico oggi? Credo l’amministrare tenendo conto del bene comune rispetto non ai pochi ma alla maggioranza. La questione delle competenze e del merito non è quindi un argomento di poco conto. In uno Stato che vuol essere democratico e vuole combattere seriamente le illegalità, il merito deve essere preteso in tutte le attività umane e prima fra tutte la politica e il settore pubblico e dei pubblici servizi. Il politico deve decidere del destino collettivo, per cui non può non affrontare temi delicatissimi come la disoccupazione giovanile, le mafie, la corruzione, l’evasione fiscale e tantissimi altri problemi che coinvolgono tutti noi. Ci si ferma invece sugli interessi individualistici e non si esige che gli eletti abbiano la competenza per adempiere adeguatamente alla loro funzione. Purtroppo questo tema è sempre eluso. La politica dovrebbe essere la sintesi di tutte le competenze ed il politico dovrebbe incarnare la massima espressione della freschezza e della pulizia dei valori contenuti nell’art. 54 della Costituzione. Se il merito avesse realmente valore in questo nostro disgraziato Paese avremmo avuto Carlo Alberto Dalla Chiesa, prefetto di Palermo con pieni poteri, Pippo Fava, direttore del Corriere della Sera o di Repubblica, Ninni Cassarà, capo della Polizia, Giovanni Falcone, procuratore nazionale antimafia e Paolo Borsellino, Procuratore capo di Palermo. Ma così non è stato. Spesso i pieni poteri sono dati a persone incapaci o se capaci al servizio dei poteri forti. Paolo Borsellino aveva proprio ragione a dire che politica e mafia sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio: o si fanno la guerra o si mettono d’accordo. Attualmente, ma anche in passato, non ho constatato una politica che fosse in prima linea nella lotta alle mafie. Credo che uno degli ultimi politici di razza che hanno realmente combattuto le mafie sia stato Pio La Torre. Ma affinché il primo obiettivo di un governo sia la lotta alle mafie abbiamo bisogno di una classe politica che inizi a considerare tale battaglia prioritaria e lo dimostri con leggi efficaci, poi spetta a noi cittadini pretendere, verità e giustizia. La lotta alla mafia si fa a Roma, si fa a Bruxelles e a livello internazionale con leggi efficaci e uomini integerrimi con profondo senso dello Stato. Finché in Parlamento siederanno condannati, rinviati a giudizio o già sotto processo per reati gravissimi come la corruzione o quelli di stampo mafioso, le mafie sono al sicuro. 

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