Monaco ’72: la fine delle Olimpiadi

A Monaco, sul finire dell’estate del ’72, morirono definitivamente le Olimpiadi. Ne svanì la magia, se ne perse l’incanto e da allora nessuno ricorda più la ragione storica per cui esse erano nate nell’Antica Grecia né i motivi per cui vennero rilanciare sul finire dell’Ottocento, con l’auspicio di poter esaltare non solo i valori dello sport ma le ragioni stesse per cui il medesimo esiste. 

A Monaco, con il sequestro e l’assassinio di undici membri della rappresentanza israeliana ad opera di un commando dell’organizzazione terroristica palestinese “Settembre Nero” (entrato in azione per rappresaglia, in risposta al disinteresse manifestato dal Comitato Olimpico Internazionale (CIO) nei confronti della richiesta avanzata dalla Federazione Giovanile della Palestina di far partecipare ai Giochi una delegazione del proprio paese), assistemmo in diretta alla completa devastazione dello spirito olimpico, con la barbarie che entrò prepotentemente nelle nostre case, la violenza che si impossessò della manifestazione e la certezza che nulla, da quel momento in poi, sarebbe stato più come prima. 

Ormai, infatti, siamo del tutto abituati alla ferocia e all’odio indiscriminato nei confronti di chiunque venga considerato un nemico della propria civiltà o religione ma all’epoca esisteva ancora un brandello di umanità e di gentilezza, tanto che in quell’occasione si era scelto di puntare su controlli blandi e misure di sicurezza estremamente leggere, al fine di non rilanciare l’immagine della Germania e di non rievocare agli occhi della comunità internazionale le atmosfere cupe proprie del regime nazista. Successe il finimondo e nessuno fu in grado di impedirlo, in quanto pochi si resero conto che non era uno scherzo, che il mondo era cambiato in quel preciso istante sotto i loro occhi e che all’improvviso era diventato possibile ciò che prima si riteneva assurdo: uno sconvolgimento cui nessuno era preparato e che quasi nessuno era disposto ad accettare, essendo vissuti per circa un trentennio al riparo da barriere, controlli serrati e altre mostruosità che ormai fanno, invece, parte del nostro immaginario collettivo. 

A Monaco, dunque, non ha perso solo lo sport ma l’intera società: tutti noi che da allora abbiamo iniziato ad accettare l’inaccettabile, tutti noi cui sembra perfettamente normale non essere liberi e dover rinunciare sempre di più ai nostri diritti e alla nostra dignità in nome di una sicurezza che nessuno sarà mai realmente in grado di assicurarci. Ed è questo che non siamo disposti a sopportare: la nostra fragilità, la nostra debolezza, la nostra vulnerabilità, il nostro essere costantemente sottoposti alle bizze del destino, la nostra finitezza e la necessità di convivere col dolore e con le sue inevitabili conseguenze. 

La verità è che da allora abbiamo paura di noi stessi, della nostra piccolezza e degli innumerevoli rancori che stanno avvelenando l’intero pianeta. 

Era il 5 settembre 1972, quarantacinque anni fa, e quel giorno venne sancita una disfatta dalla quale l’umanità non si è più ripresa, essendo entrata in noi una crudeltà disumana alla quale abbiamo progressivamente rinunciato a ribellarci.

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