Nell’Italia che non legge, dilaga la “ringraziamentite”.

Gli scrittori di oggi hanno copiato dai titoli di coda dei film di ieri il vezzo di ringraziare tutti quelli che hanno collaborato alla fattura del film, fino all’ultimo elettricista. E ringraziano chi gli ha dato l’idea del libro, chi ha letto per primo il manoscritto, chi gli ha segnalato incredibili sviste, chi ha rivisto le bozze: per lo più sono componenti della famiglia coinvolti volenti o nolenti nell’impresa.

“Se non fosse stato per loro questo libro non avrebbe mai visto la luce”, conclude spesso l’autore, che evidentemente si sente in dovere di condividere la gioia di vedere pubblicato quanto ha scritto con quelli che l’hanno aiutato a scriverlo.

 Ma al lettore tutto questo non interessa più di quanto si appassioni ai titoli di coda del film, sempre più lunghi, che continuano a scorrere sullo schermo mentre la platea si è svuotata. Ciononostante lo fanno tutti: gli americani autori di best sellers sulle mille pagine, con ringraziamenti di pari lunghezza, e gli scrittori italiani giovani e meno giovani per lo più autori di racconti gialli infarciti di termini polizieschi o giuridici che ringraziano funzionari di polizia, ufficiali dei carabinieri psicologi e urbanisti, per rassicurare il lettore che tutto quello che ha letto fin lì è certificato da esperti della materia. 

Fra i casi più recenti quello del padovano Matteo Strukul, autore del primo volume di una trilogia sui Medici di Firenze, che per ringraziare tutti, dall’editore ai suoi agenti letterari fino alla moglie Silvia, ha riempito più di quattro delle 382 pagine del libro: quasi un’appendice dell’elenco del telefono, quello che si continua a stampare e a distribuire ma che oggi nessuno apre più. Dalla “ringraziamentite”, un’affezione contro la quale non si conoscono vaccini, non si sono salvati grandi giornalisti che avremmo supposto capaci di farne a meno: Piero Angela non si è trattenuto dal ringraziare, per sdebitarsi, almeno tre dei suoi pari (un astrofisico, un geologo, un paleontologo) che l’hanno aiutato a scrivere Tredici miliardi danni, il romanzo dell’universo e della vita.  L’ex-direttore del Corriere della sera Ferruccio De Bortoli, a conclusione del suo Poteri forti (o quasi), dichiara “Questo libro non sarebbe mai stato scritto senza le affettuose insistenze di Elisabetta Sgarbi (l’idea è sua) e di Rosaria Carpinelli”. Nel 2008 Roberto Cotroneo, in calce al romanzo Il vento dell’odio, ringraziava Umberto Eco (un altro che non ha mai ringraziato nessuno) “perché sul titolo è stato decisivo”. Andrea Manzini, autore di gialli poliziesco-giudiziari, apre i ringraziamenti con un libraio di Aosta, dove il romanzo è ambientato, “per la gentilezza e la disponibilità”. C’è mancato poco che ringraziasse anche i vigili urbani del capoluogo aostano.

Ci sono, per fortuna, lodevolissime eccezioni, in Italia e all’estero. In Francia George Simenon ha scritto centinaia fra romanzi e racconti e non si è mai sognato di ringraziare nessuno (neanche la signora Maigret verso la quale ha sempre dimostrato una certa considerazione). In Italia Andrea Camilleri, il nostro Simenon siciliano, alla fine di ogni racconto, anche di quelli di cui non è protagonista il commissario Montalbano, ha sempre aggiunto una nota ma solo per dire che la vicenda trattata è pura invenzione dell’autore, frutto della sua fantasia, con la raccomandazione al lettore che non si mettesse a cercare riferimenti con fatti o persone reali. Comunque, niente ringraziamenti. Solo due volte Camilleri ha derogato alla regola: nel suo centesimo libro edito da Sellerio nel 2016, L’altro capo del filo, ha ringraziato Valentina Alfieri “che mi ha aiutato a scrivere quest’opera non solo materialmente ma intervenendo anche creativamente nella sua stesura. In altre parole, data la mia sopraggiunta cecità, questo libro (e spero gli altri che seguiranno) senza di lei non avrei potuto scriverlo”. Quest’anno Camilleri è tornato in libreria con un titolo che ha avuto grandissimo successo, La rete di protezione. E con la nota: “Questo libro composto nel 2015 è stato il primo non scritto ma dettato. E perciò tutta la mia gratitudine va a Valentina per l’aiuto che lei sa”. Comprensibile e commovente.

Gli scrittori di una volta non ringraziavano, non per maleducazione, piuttosto per discrezione. Quando si pubblicavano meno libri di quanti se ne stampano oggi, ma si leggeva molto di più, gli autori non sentivano l’obbligo di compiacere il lettore o di farselo complice con strizzatine d’occhio (“Vedi, anche a mia moglie è piaciuto, ci abbiamo lavorato in tanti, non può non piacere anche a te”). Alessandro Manzoni alla fine dei Promessi sposi si è limitato a scrivere, concludendo “il sugo di tutta la storia”, che “se non v’è dispiaciuta affatto, vogliatene bene a chi l’ha scritta, e anche un pochino a chi l’ha raccomandata. Ma se invece fossimo riusciti ad annoiarvi, credete che non s’è fatto apposta”. E sì che don Lisànder ne avrebbe avuti ringraziamenti da fare, a cominciare da Enrichetta Blondel, la prima moglie che gli dette dieci figli prima di morire di consunzione nei lunghi anni di elaborazione del romanzo durante i quali si deve essere sentita molto trascurata, e forse andava ringraziata “per la disponibilità”, almeno. Ma si era in pieno Ottocento e le donne a quel tempo erano tenute in scarsa considerazione. Passando al Novecento, un altro fecondo romanziere, Alberto Moravia, i suoi libri li ha talvolta dedicati a una persona cara senza, però, ringraziare nessuno e non perché fosse scorbutico (e senz’altro lo era), ma perché allora non usava. Dacia Maraini alla fine del libro Chiara di Assisi, in calce alla ricca bibliografia su Santa Chiara e sul Medioevo, è lapidaria: “Un sentito grazie va alla casa editrice Porziuncola per il prezioso contributo documentario alla mia ricerca”. 

Oggi, l’unico ringraziamento che, secondo noi, dovrebbe trovare posto alla fine di certi romanzi sarebbe quello rivolto al lettore “per aver acquistato il libro pagando di tasca sua e per non esserselo fatto imprestare da un amico o peggio aver preteso che l’editore glielo facesse avere gratis per recensione”. (Anche questo è un vezzo di oggi, non degli scrittori, ma di alcuni giornalisti o sedicenti tali).

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