Non solo coaching: il lato buono del conflitto nelle relazioni interpersonali

il conflitto è una componente naturale e può rivelarsi produttiva nell’ambito delle relazioni interpersonali o professionali, e per comprenderne il valore, in prima battuta, proviamo ad analizzare la questione da un punto di vista completamente razionale, al netto dell’emotività che si cela dietro la gestione del conflitto.

MI trovo coinvolto o ho generato una animata discussione “cosa voglio che accada alla fine di questo momento di confronto-scontro?”. Costruire questa visione e riuscire a porsi questa domanda, prima che sia troppo tardi, può essere utile ad orientare la nostra comunicazione verso un fine utile. 

Questo è il primo punto della questione:  sapere cosa voglio ottenere.

In genere questo è sempre il tipo di domanda che bisognerebbe farsi quando si chiede di relazionarsi su un argomento importante, durante una riunione di lavoro ad esempio. 

Sembra facile, ma non lo è, tuttavia non impossibile! Nel contesto di una discussione, non siamo quasi mai predisposti ad aprire la mente e il cuore all’ascolto, soprattutto se essa è stata generata proprio da pareri discordanti su un tema che abbiamo a cuore, soprattutto se ci sentiamo attaccati, minacciati, controbattuti se scatta in noi la reazione incontrollabile del contro-attacco. Tuttavia se riuscissimo a mantenere saldo in mente lo scopo del dibattimento tutto potrebbe prendere una piega giusta. 

Partiamo intanto da una posizione che spesso emerge nei ragionamenti dei miei clienti, che mai smetterò di ringraziare per gli apprendimenti che generano in me: se non mi sento ascoltato, mi concentro sul parlare di più e ascoltare di meno, al fine di affermare la mia posizione. Anche l’altro è possibile che faccia la stessa cosa e quindi il parlarsi sopra è il risultato finale di questo modello di comunicazione totalmente inefficace e il risultato sarà un Lose – Lose.

Volgiamo la cosa in positivo prendiamo il secondo punto importante: se voglio essere ascoltato, devo essere disposto ad ascoltare.

Il terzo punto della questione è la consapevolezza che un conflitto, ben gestito, porta dei benefici, ossia il lato buono della questione. Facciamo mente locale su alcuni aspetti positivi del conflitto: 

  • Intanto se entro in conflitto, non è mai per divertimento, non è per litigare di per sé, ma perché c’è un qualcosa a cui tengo, qualcosa che penso di dover difendere: una questione, una posizione, una decisione, un parere, ecc. Difendo la mia verità*.
  • Anche l’altro ci tiene se sta entrando in discussione difendendo la sua verità*.
  • Il conflitto, se gestito in modo efficace, stimola il pensiero, la creatività poiché i partecipanti al conflitto fanno in modo di far valere le proprie posizioni sulla questione contesa, nel caso di una decisione da prendere, fa emergere tutti i fattori chiave necessari alla valutazione della decisione. 
  • Genera una maggiore conoscenza di noi stessi, dell’altro, e di noi in relazione all’altro. Dà la misura della nostra capacità di reazione ad uno stress istantaneo o prolungato, al fine di sviluppare un cambiamento utile. 
  • Se si utilizza l’apprendimento che ne consegue su come stanno andando le cose, possiamo capire come agire meglio la prossima volta. 
  • Il conflitto, gestito in modo efficace, può restituire onore all’osservazione della verità* di ognuno dei contendenti e permette di costruire un vero* comune e concordato, in tala caso la risoluzione del conflitto non può essere che Win -Win!

Ma non possiamo non analizzare la questione dell’’emotività dietro il conflitto: quando affrontiamo una discussione, “cosa stiamo portando con a noi” è il quarto punto: la consapevolezza è fonte di saggezza. Saper riconoscere come ci sentiamo, cosa stiamo provando, cosa realmente stiamo discutendo, e contro chi ci darà il quadro della situazione. 

  • La discussione in atto è su un piano personale? Sto dibattendo la questione o la persona?
  • Discuto per comprendere e farmi comprendere oppure discuto per affermarmi e soddisfare i miei bisogni?
  • Siamo sicuri che non portiamo con noi un bagaglio di fatti meno positivi già vissuti, accumuli di stanchezza e incomprensioni? 
  • Cosa possiamo fare per rendere il conflitto utile e costruttivo?
  • Quali e quanti fattori portiamo con noi nella discussione?
  • Quali armi portiamo e quali dobbiamo tener fuori?
  • A cosa dobbiamo rinunciare?
  • Come mi comporto se mi sento attaccato? 

Se riconosciamo quali aspetti impattano sul conflitto, possiamo iniziare a chiederci come fare per ascoltare e come intervenire nel modo più utile. Tuttavia in una discussione, chi lo deve fare per primo? Beh qui mi appello ad un detto antico, che spesso la mia Mamma mi ripeteva: “chi ha più intelligenza, l’adoperi!!!!”

Io aggiungo oggi l’aggettivo emotiva ad intelligenza: una possibile risposta alla questione è rispondere con una buona intelligenza emotiva. Parlo ovviamente dell’IE di cui parla Daniel Goleman (la cui applicazione alla Leadership, l’abbiamo condivisa in questa riflessione: La Leadership con intelligenza emotiva… ). Nella IE di Goleman, che vi invito ad approfondire con la lettura del suo libro “Intelligenza Emotiva”.

La mia sintesi è avere la consapevolezza dell’obiettivo che ci poniamo di ottenere, cosa ci muove all’azione, sapere cosa sta accadendo dentro di noi, essere empatici e riconoscere cosa sta accadendo anche nell’altro, e saper utilizzare l’apprendimento che viene dal passato e generarne uno per il futuro, comprendere come abbiamo agito e come potevamo agire diversamente, comprendere che bisogna interagire con l’altro in modo utile, significa mettere le fondamenta ad una discussione e concluderla con un accordo che soddisfi tutte le parti.

Per molti tutto ciò è sufficiente per gestire al meglio i conflitti, ma in alcuni casi dove intervengono delle dinamiche di diversa natura è sempre da valutare l’intervento di specialisti ad hoc, come psicoterapeuti, che hanno metodi e strumenti per fare un lavoro sulle cause, che generano una gestione del conflitto meno funzionale ai nostri scopi. 

Nei casi più semplici, permettetemi anche di ricordare, sapete quanto amo la saggezza popolare, il vecchio detto “conta fino a 100”!!! Se leggerete Goleman scoprirete che questo detto ha fondamenta scientifiche nel funzionamento del nostro cervello. In breve, chiedendo scusa agli illuminati su questa questione, quando accade qualcosa che ci scuote, ad esempio quando sentiamo di aver subito un attacco, la risposta emotiva arriva molto più velocemente della risposta razionale, a volte contare anche sino a 1000, serve proprio per non rispondere in modo veloce e sull’onda dell’emotività, ma per costruire una risposta più utile a noi stessi e al contesto. 

E dopo la discussione? il feedback su quanto è accaduto è fondamentale per il nostro futuro.

Cosa ha funzionato? Cosa ha funzionato meno? Cosa posso riutilizzare la prossima volta? Cosa potevo fare di diverso? Cosa posso provare a fare la prossima volta?… e quale domanda ti puoi porre per una maggiore comprensione dell’accaduto e stimolo a migliorare la comunicazione?

Sul modello di comunicazione utile da portare in una discussione ci torneremo su più in là, l’argomento ha senso solo dopo aver riflettuto su come ci predisponiamo alla discussione ed all’analisi di cosa è accaduto. Anzi direi che in moltissimi casi, la consapevolezza piena che porta questo tipo di riflessione si tramuta, successivamente, in azioni concrete che emergono in modo naturale nei confronti di una comunicazione efficace, mix di ascolto attivo, domande utili alla comprensione, feedback e argomentazioni chiare e puntuali. 

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