Giorgio La Pira e l’umiltà della politica

Per la Firenze dell’immediato dopoguerra, Giorgio La Pira fu molto più di un sindaco. Se il Pignone esiste ancora, tanto per citare un esempio, il merito è suo e della coraggiosa richiesta che rivolse all’allora presidente dell’ENI, Enrico Mattei, salvando con quella scelta non solo una miriade di posti di lavoro ma anche uno dei simboli della città.

La Pira, dossettiano ed esponente di quel cattolicesimo democratico che fece la differenza negli anni dell’assemblea Costituente, è stato, senza dubbio, uno dei simboli della rinascita dell’Italia, teorizzando, tanto per dirne un’altra, la necessità di un lavoro equo, ben retribuito e basato su un equilibrio complessivo che tenesse conto anche del necessario riposo delle persone. 

“Non l’uomo per il sabato ma il sabato per l’uomo”: il pensiero politico di questo cattolico in odore di santità è racchiuso in questa frase, emblematica di una personalità complessa, poliedrica, sempre e comunque volta al bene comune, incapace anche solo di concepire la ruberie e il malaffare e, per questo, in grado di rendere Firenze un modello di buona amministrazione. 

La Pira e i “professorini”, La Pira e la sinistra democristiana che tanta parte ha avuto nella storia della sinistra, La Pira che seppe costruirsi una successione all’altezza, affidando a Lagorio, Salazar e Bargellini il destino di una città capace di resistere dapprima al nazi-fascismo, poi alle fatiche della ricostruzione e infine all’alluvione del ’66 che ne mise a repentaglio il patrimonio artistico e culturale. 

La centralità dell’uomo, la grandezza e l’unicità di ogni individuo, la bellezza interiore dei singoli e il loro comporre, insieme, un mosaico meraviglioso che altro non è che la nostra comunità: furono questi i princìpi che lo inndussero a far approvare l’articolo 2 della Costituzione ponendo al centro di esso il tema, quasi inedito per l’epoca, del rispetto dei diritti umani e motivando la scelta con la seguente spiegazione: “Alcune Costituzioni recenti (Austria 1920, Lettonia 1932, Polonia 1935) mancano di tale premessa: e ne mancano per la ragione che gli essenziali e tradizionali diritti dell’uomo sono in esse considerati come il presupposto tacito ed ineliminabile di ogni Costituzione. Diverso è il caso per la nuova Costituzione italiana: essa è necessariamente legata alla dura esperienza dello stato “totalitario”, il quale non si limitò a violare questo o quel diritto fondamentale dell’uomo: negò in radice l’esistenza di diritti originari dell’uomo, anteriori allo stato: esso anzi, accogliendo la teoria dei “diritti riflessi”, fu propugnatore ed esecutore di questa tesi: non vi sono, per l’uomo, diritti naturali ed originari; vi sono soltanto concessioni, diritti riflessi: queste “concessioni” e questi “diritti riflessi” possono essere in qualunque momento totalmente o parzialmente ritirati, secondo il beneplacito di colui dal quale soltanto tali diritti derivano, lo Stato”.

Come sindaco, ricostruì i ponti Alle grazie, Vespucci e Santa Trinita distrutti durante la guerra, ripavimentò il centro storico, realizzò il quartiere satellite dell’Isolotto, impostò il quartiere di Sorgane, riedificò il teatro comunale, realizzò la centrale del latte, moltissime case popolari e un numero tale di scuole che ritardò di vent’anni l’insorgere della crisi dell’edilizia scolastica in città.

E quando i proprietari si rifiutarono di concedere in affitto al comune le abitazioni inutilizzate, basandosi su una legge del 1865 che conferisce al sindaco di requisire alloggi in presenza di gravi motivi sanitari o di ordine pubblico, ordinò di requisire i medesimi immobili per far fronte al problema degli sfratti, asserendo di fronte al Consiglio comunale: “Ebbene, signori Consiglieri, io ve lo dichiaro con fermezza fraterna ma decisa: voi avete nei miei confronti un solo diritto: quello di negarmi la fiducia! Ma non avete il diritto di dirmi: signor Sindaco non si interessi delle creature senza lavoro (licenziati o disoccupati), senza casa (sfrattati), senza assistenza (vecchi, malati, bambini, ecc.). È il mio dovere fondamentale questo: dovere che non ammette discriminazioni e che mi deriva prima che dalla mia posizione di capo della città – e quindi capo della unica e solidale famiglia cittadina – dalla mia coscienza di cristiano: c’è qui in giuoco la sostanza stessa della grazia e dell’Evangelo! Se c’è uno che soffre io ho un dovere preciso: intervenire in tutti i modi con tutti gli accorgimenti che l’amore suggerisce e che la legge fornisce, perché quella sofferenza sia o diminuita o lenita. Altra norma di condotta per un Sindaco in genere e per un Sindaco cristiano in ispecie non c’è!”.

E in relazione all’importanza di fare politica, con onestà e passione, sosteneva: “Non si dica quella solita frase poco seria: la politica è una cosa ‘brutta’! No: l’impegno politico – cioè l’impegno diretto alla costruzione cristianamente ispirata della società in tutti i suoi ordinamenti a cominciare dall’economico – è un impegno di umanità e di santità: è un impegno che deve potere convogliare verso di sé gli sforzi di una vita tutta tessuta di preghiera, di meditazione, di prudenza, di fortezza, di giustizia e di carità”.

Giorgio La Pira, quarant’anni fa. L’umiltà della politica, la dignità del pensiero, il senso stesso della sinistra: purtroppo non ha avuto eredi.  

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