Charlie Chaplin: la grazia triste di Charlot

Charlie Chaplin, Charlot, quarant’anni dopo. È stato il simbolo, lui, londinese di nascita e successivamente svizzero d’adozione, dell’America dei ruggenti anni Venti e Trenta, il fustigatore delle sue ipocrisie, il narratore dei suoi vizi e della sua voglia di modernità irrispettosa dei più elementari diritti umani, avida, incattività dalla crisi del ’29 e incapace di dar vita ad un progetto sociale equo che coinvolgesse innanzitutto i ceti più deboli.  

Certo, ci fu l’epopea rooseveltiana ma l’america di Charlot rimane quella della catena di montaggio di “Tempi moderni”, con quell’anti-eroismo, quella semplicità sconfitta, quella vita di tutti i giorni abbandonata al proprio destino e quell’anti-eroismo quasi mitico, in una serie di affreschi propri di una sorta di neo-realismo ante-litteram che, del resto, era la cifra culturale dei grandi scrittori statunitensi dell’epoca. 

Chaplin come Steinbeck e Faulkner, dunque, con la non piccola differenza di riuscire anche a strappare un sorriso: un riso amaro, ovviamente, un’ironia triste e dissacrante, disincantata, malinconica, feroce come la critica sottile ad ogni forma di dittatura (e al nazismo in particolare, vedasi “Il grande dittatore”) e ad un modello, quello dell'”American way of life”, che non è mai stato e mai sarà tutto rose e fiori come determinati commentatori hanno cercato di farci credere per decenni. 

Chaplin testimone dell’America vera: quella che soffre e si dispera pur non rinunciando alla speranza di un avvenire migliore, resa tangibile dalla sua passeggiata finale, proprio in “Tempi moderni”, verso un sole che profuma di libertà e di futuro. 

Chaplin è stato, insomma, la coscienza critica di una Nazione che all’epoca si riteneva perfetta e non accettava alcuna forma di contestazione (non a caso, fu perseguitato dal maccartismo): più di ciò che Sordi e il suo italiano medio sono stati per noi, assai più di ciò che alcuni comici americani hanno rappresentato per l’america. Se vogliamo, Charlot è stato l’avversario più acerrimo di Walt Disney e della sua esaltazione dello stile di vita statunitense, una sorta di Frank Capra al rovescio, non scevro da cedimenti all’ingenuità strumentale tipica dei cantori dei buoni sentimenti ma non certo privo dello spirito critico necessario per mostrarci costantemente le sorti di un Paese in bilico e spesso in guerra con se stesso. 

Charlie Chaplin, al pari di Groucho Marx, ci disse addio quarant’anni fa, ormai molto vecchio, al termine di un’esistenza dedicata al cinema, alla cultura, all’analisi sociale, allo spirito critico e al coraggio della denuncia. Una vita intensa e meravigliosa, quindi, che ci ha regalato tanto buon umore e la capacità d andare oltre le verità e le narrazioni ufficiali, scavando nel profondo di una storia che non ha nulla di lineare e, proprio per questo, non smetterà mai di affascinarci. 

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