Perché Cesare Brandi, fin dagli anni ’50, insiste sulla conservazione delle patine, quelle dei palazzi come quelle dei dipinti? Perché nell’atmosfera inquinata delle città, dove la corrosione acida è fortissima, su ogni pietra si forma uno strato, una crosta che ingloba lo sporco ma anche l’originaria superficie della pietra stessa, togliere questa crosta vuol dire eliminare la difesa del monumento e farlo aggredire dagli agenti corrosivi in profondità.
C’è poi l’aspetto del restauro: quale colore restaurare, l’ultimo applicato dal restauratore precedente o quello originario, attraverso testimonianze fotografiche e bibliografiche. Prima di tutto come si operano le puliture? Si fanno rispettando le patine sulla pietra? Non si direbbe analizzando da vicino i restauri di facciate a Roma, come a Sant’Andrea della Valle dove il travertino appare abraso, come del resto la facciata della Chiesa del Gesù, dove si sono chiuse a calce le slabbrature più profonde. Anche al palazzo della Cancelleria si nota lo stesso genere di intervento molto deciso, con asportazione delle patine.
Ecco cambiano i muri, cambiano le pavimentazioni della città, ma i problemi più gravi si hanno con le sculture: già nel Ventennio erano gli scalpellini che pulivano la fontana del Bernini a piazza Navona.L’idea della Parigi bianco-Dash era venuta a De Gaulle, lo hanno imitato in troppi, anche noi:si pensi a Roma, al palazzo di Giustizia e al Vittoriano.
Sarebbe urgente promuovere un convegno nazionale e convegni di studio sulle maggiori città, per fissare metodologie di intervento sulla pietra che rigorosamente rispettino le patine, come finora non si è fatto, e norme per il recupero dei colori degli intonaci. Interventi senza coordinamento comportano disomogeneità e disarmonicità.