Un’ora d’aria, anzi di Musica. Il lavoro dei grandi compositori entra in carcere per un’esperienza unica

Il Coro Gesualdo a Rebibbia: “l’uomo non nasce “stonato” va semplicemente “ri-accordato”, affrancato e confortato”

Sono le ore dieci e trenta di un venerdì qualsiasi e alla Casa di Reclusione di Rebibbia un gruppo di detenuti aspetta con pazienza che vengano aperte le porte dell’aula di musica.

Da alcuni mesi c’è un nuovo incontro nel carcere e si prospetta stimolante perchè, alle undici circa, s’attraversa un confine particolare per molti nuovo e curioso.

Il mondo della musica è magico –  a detta di molti favorisce l’evasione – rappresenta un coinvolgimento di sensazioni che appaga e quasi rende invulnerabili dal frastuono e l’indifferenza che ci circonda. Questa interpretazione – assai romantica – ha creato falsi miti e costruito personaggi che hanno preso l’Arte come giustificazione dei propri insuccessi ribaltandone il significato, lo studio e l’originalità sposando i luoghi comuni.

Così Romolo, Dario, Alessandro, Davide, Federico assieme agli altri armati di carta, matita e gomma firmano il registro preparato dal personale dell’Area Educativa.
Una piccola tastiera musicale, una lavagna e tanti gessetti per iniziare sono pronti e disponibili, ma il discorso – una volta preso posto –  cambia subito e iniziamo un rapido giro di presentazioni, sempre, ogni giorno, perchè il numero delle persone cresce e c’è sempre qualcuno che s’aggiunge all’elenco.

E’ luglio – fa caldo – ho appena comunicato che continuerò gli incontri e qualche detenuto mi ha confidato che questa dell’ora di Musica è l’unica attività che non si ferma durante il periodo estivo e che parecchi l’aspettano con impazienza. Gli argomenti sono tanti – mi giustifico così con il corpo di guardia – e inizio a chiacchierare con tutti di forme musicali, ma anche di forme sociali e politiche, perchè la Musica non vive solo di suoni e questo suona strano perchè tutti s’aspettavano altro.

Il laboratorio diventa sempre più folle e stravagante perchè la lavagna si riempe di simboli, righi, chiavi, frazioni, note e le forme cominciano pian piano ad affiorare tra concetti di consonanze e dissonanze, fastidi e piaceri alla scoperta di quello che si conosce o si credeva di sapere rinominandolo per fissare dei punti di riferimento solidi perchè magari domani potrebbero tornare utili.
I detenuti sono perplessi perchè c’era l’idea del canto, l’idea della canzone e della batteria e di un giro di chitarra e qualcuno s’era pure preparato una cantata.  Ma è così difficile scrivere una canzone? E’ difficile raccontarsi, difficile trovare un pubblico disposto a starti vicino sostenendoti, difficile è trasferire un modello di vita specialmente oggi che questi vengono dettati ed insegnati da assurde dinamiche economiche.

Cosa vuoi raccontare agli altri? Ma hai qualcosa da scrivere? Perchè dovrei ascoltarti? 


“Il re è nudo” e “la legge non ammette ignoranza”: lentamente tiro fuori le storie dei grandi musicisti, tutti poveri, tutti miseri ma ingegnosi che ebbero la forza di sopravvivere in condizioni estreme raccontando favole ai loro principi. Artisti ormai celebrati che hanno conosciuto le carceri come Bach, Paganini, Cimarosa – il gioco d’azzardo come Mozart – l’alcolismo e tutti gli errori possibili che li riportano in mezzo a noi tra gli imperfetti – le favole di allora erano rivolte alla meraviglia di intrattenere e per mezzo di uno strumento qualsiasi, spesso auto costruito, s’accampavano suoni e parole. Le grandi Civiltà sono nate intorno ad un fuoco tra danze e risate, pianti e rituali che lentamente e civilmente abbiamo sostituito trasformando le nostre proprie paure in momenti da scongiurare ed esorcizzare. Abbiamo costruito difese e composto canti per proteggerci e le preghiere sono diventate proteste rivolte sempre ad individuare una causa più o meno giusta. L’uomo reclama, non prega più ed esige il suo tributo fino a quando gli viene sottratta la libertà che prima o poi “dipende” e lo castiga nella sua crescita naturale.

Nasce così il Coro Carlo Gesualdo – scongiurando ogni riferimento dello stato detentivo dei partecipanti – con l’idea di mantenere un nome “libero” ho pensato ad una figura “fuori dal coro”: un Principe che uccise la moglie e il proprio amante condannando se stesso ad un carcere “particolare” fatto di preoccupazioni e isolamento. Gesualdo signore di Venosa non fu mai incarcerato per il delitto d’onore, si risposò e s’esiliò nella sua magione scrivendo musica, circondandosi di artisti che pagava,  producendo e stampando la propria musica che tutta racchiudeva l’idea di riscatto verso una società spesso connivente e meschina.

L’idea del Coro dei detenuti, ad onor di cronaca, è stata dell’ufficio delle politiche sociali di Roma Capitale che individuando una certa “attitudine” in un’attività di concerto presso la Casa di Reclusione ha pensato ad un’attività aggregante che andasse oltre.  Ci siamo ritrovati a discutere circa le metodologie e le finalità che, a parer mio, dovevano essere ambiziose ricostruendo per i detenuti la grammatica e la semantica dei suoni, attraverso le parole e il pensiero.

Fondamentalmente l’uomo non nasce “stonato” va semplicemente “ri-accordato”, affrancato e confortato. La chiave per riuscire in questo intento è la conoscenza – forse due corde tese fatalmente suoneranno armonicamente, ma tutte le corde in circolazione possono produrre suoni riconoscibili se opportunatamente calibrate e suonate con abilità.

La Musica non sta nell’accordare lo strumento o nel capire se l’individuo sia cosciente e addirittura meritevole; L’Arte è radicata nella narrazione, nella memoria, nella celebrazione del personale e nel rapporto rispettoso che s’istaura tra le persone.  Proprio come tra le note si sviluppano “legami armonici” tra gli individui fioriscono sentimenti di stima e rispetto ai quali dobbiamo ambire per raggiungere obiettivi comuni.

Gli accordi musicali sono come i matrimoni, come le famiglie e se ne trovano di tante specie e gli stessi possono manifestarsi in posizioni diverse – la conoscenza della Musica permette di combinarli sempre in maniera egregia evitando quella fatalità casuale dovuta all’assenza di comunicazione che porta a vere e proprie barriere sociali.

Oggi entrando in quella sala all’interno del carcere si chiacchiera di Musica, si racconta che esistono chiavi antiche e che queste sono ancora oggi disegnate con le lettere delle note corrispondenti – qualcuno  porta la chiave di Sol tatuata sul braccio – prima era solo un simbolo, un bel disegno – oggi rivela una storia e che se questa fosse sistemata su uno dei cinque righi offrirebbe persino un riferimento ideale, proprio come l’ultima corda del violino che rappresenta un confine sonoro, un limite superabile solo con l’immaginazione o con l’aiuto di un altro strumento.

Le “dissonanze” sono all’ordine del giorno, ma rappresentano opportunità di soluzione perchè affianco un suono che stride ne segue subito un altro che risolve e il discorso ritrova l’armonia. Le pause diventano momenti d’attesa da gestire e misurare perchè grazie a queste c’è la possibilità di preparare una nuova entrata di una nuova voce creando attimi d’aspetto e fantasia che sono l’anima della Musica e del nostro essere.

Così prende forma il coro Gesualdo che ha l’ambizione di portare il lavoro dei grandi compositori in carcere per un’esperienza diversa, unica: Monteverdi, Banchieri, Palestrina, Festa, Gesualdo, Cipriano, Josquin, Gastoldi, Orlando di Lasso, Willaert, Janequin entrano a gamba tesa in un ambiente tecnicamente difficile.

La Musica è un ovvio pretesto, ogni madrigale, ogni nota è carica di vita attraverso i secoli la musica è rimasta testimone di fatti e accadimenti – grazie a questi rileggiamo con occhi e orecchie le rime di Tasso, Petrarca, Rinuccini che sotto censura inventavano un linguaggio fatto di segni, metafore, allegorie e miracolosamente venivano tradotte in musica e codificate per un pubblico particolare.

Ascolto e mi raccontano dei loro figli, delle famiglie e persino del perchè si trovano in questa situazione, l’ora di musica vola rapida e ancora una volta m’hanno detto: “a maè anche oggi c’hai messo il caos in testa!”
Tranquillo,  venerdì rimettiamo tutto a posto! 


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