“Fu sera e fu mattina”: Ken Follett, il talento e la fortuna

Dopo I pilastri della terra, che ha dato inizio alla saga di Kings-bridge, Mondo senza fine e La colonna di fuoco,  arriva il quarto libro che Ken Follett dedica a quelli che chiama i “secoli bui”.

Fu sera e fu mattina, quasi ottocento pagine per una storia d’amore ambientata nell’Anno Mille, un periodo storico che precede quello degli altri romanzi e teoricamente avrebbe potuto essere l’inizio della sua quadrilogia.

Ken Follett non fa fatica a scrivere: ha cominciato giornalista, poi da scrittore ha pubblicato trentadue romanzi cominciando nel 1978 con La cruna dell’ago, le copie vendute dei suoi libri si contano a milioni. Per ogni romanzo Follett si serve di uno stuolo di collaboratori come un produttore di Hollywood che ha messo in cantiere un colossal. Per le ricerche storiche ha fatto capo ancora una volta a Dan Starer e al suo insostituibile Research for writers  Council di New York.  Starer è fra i primi che Follett ringrazia a fine libro in due pagine fitte di nomi. E non dimentica la moglie Barbara alla quale dice di dare sempre utilmente in lettura la prima stesura del romanzo. Lo stesso non poteva fare il nostro Ennio Flaiano, non meno geniale scrittore e sceneggiatore, che un giorno confidò ad un amico:” Sai, mia moglie non ha mai letto una riga di quello che ho scritto. Dice che ha cose più importanti da fare”. Povero Flaiano! Avrebbe meritato un’altra moglie, ma si consolava con gli amici famosi che lo stimavano, a cominciare da Federico Fellini.

Perché l’Anno Mille? Perché il prolifico scrittore inglese si è dilungato per quasi ottocento pagine con una storia che intreccia tre personaggi nell’Inghilterra di tempi tanto lontani? La domanda è legittima, la riposta impertinente: forse perché di quel Paese, il suo, poteva dire peste e corna senza disturbare nessuno, senza rischiare querele e denunce come sempre più spesso accade a giornalisti e scrittori che non hanno peli sulla lingua. Oggi chi scrive di un politico rischia una querela con condanna a un milionario risarcimento dei danni. Se non scrivi più che bene di un attore noto ti saltano addosso il suo agente o il suo ufficio stampa. Se scrivi di un riconosciuto delinquente colluso con la mafia rischi fisicamente un grosso guaio. Questo vale soprattutto per i giornalisti coraggiosi.

Meglio ripiegare sull’innocuo Anno Mille di cui si sa poco o nulla, come dice lo stesso autore nella postfazione, alla voce “ringraziamenti”: “I secoli bui lasciarono poche tracce. Non si scriveva molto, c’erano pochi dipinti e quasi tutti gli edifici erano di legno che si è decomposto un migliaio di anni fa o più. Questo lascia spazio a congetture e divergenze di opinioni più di quanto accade per il periodo precedente, quello dell’impero romano, o per quello successivo, il Basso Medioevo. Per questo, nel ringraziare i miei consulenti storici, devo aggiungere che non sempre ho seguito i loro consigli”. 

Follett è stato sincero: è risalito all’Anno Mille certo di non rischiare querele nonostante della chiesa inglese dell’epoca tracci un ritratto quanto meno agghiacciante (un vescovo assassino, abati preda della lussuria, monaci gaudenti), è molto critico nei confronti della casa reale (un re imbelle ostaggio dei signorotti locali) e della nobiltà avida, ignorante, che sfrutta la schiavitù. Tutto puoi dire se parli dell’Anno Mille: non ci sarà un arcivescovo di Canterbury a scomunicarti, o il portavoce di Buckingham Palace a smentirti. Nel romanzo c’è un solo personaggio positivo: un sempliciotto al quale toccano tutte le sventure possibili ma che alla fine vince perfino l’amore per la bella castellana dai lunghi capelli rossi, di nascita normanna. E fra i due c’è un abate, stavolta onesto, che fa sperare in una conclusione confortevole delle corrusche vicende che il lettore si è dovuto sorbire (impiccagioni, accecamenti, castrazioni, uccisioni di tutti generi, stupri a gogò).

Il fascino del romanzo storico è inesauribile. Lo aveva capito il Manzoni che s’era inventato “una storia milanese del sedicesimo secolo” entrata nella grande letteratura mondiale. E anche lui calcò la mano su personaggi negativi senza temere conseguenze.  Ma nessuno oggi direbbe che il Manzoni ha fatto il furbo e si è rifugiato nel tardo medioevo per non indispettire i suoi contemporanei.  Fu più imprudente Alberto Moravia con Gli indifferenti, il suo primo romanzo ambientato nella Roma fascista e che proprio per questo non trovò un editore e dovette stamparlo a spese proprie. Anche la Chiesa cattolica è stata severa con gli autori non graditi, ne ha messi pochi di libri all’indice! Ma questa è un’altra storia.

Ken Follett è indubbiamente geniale ma è anche fortunato. Geniale perché scrive storie avvincenti che piacciono a milioni di lettori, fortunato perché lavora in una parte di mondo libera e democratica. Una condizione che sarebbe piaciuta a Boris Pasternak, l’autore del Dottor Zivago: a lui non fu consentito nemmeno di ritirare il Nobel per la letteratura assegnatogli da quei buontemponi dell’Accademia di Stoccolma che, tentando di farlo uscire dall’Unione Sovietica in cui era di fatto recluso, gli hanno fatto rischiare la pelle.

Ma questo non toglie che le 781 pagine di Fu sera e fu mattina si leggano d’un fiato perché la storia prende, i personaggi piacciono, il lieto fine è gradevolmente prevedibile. Ed è subito best seller, puoi giurarci.  

Fu sera e fu mattina

di Ken Follett

Editore: Mondadori

Traduttore: Raffo A.

Data di Pubblicazione: settembre 2020

Pagine: 792

Cartaceo euro 27  – Ebook  16.99

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