Alitalia Etihad, il solito accordo lacrime e sangue. Pagano i lavoratori

 

ROMA – Tutti i buoni propositi lanciati dai fiduciosi ottimisti si sono rivelati alla fine privi di qualsiasi fondamento e verità. Insomma tutte balle in nome del dio petrolio.

I nuovi salvatori dell’Alitalia sbarcati a Fiumicino, ovvero i vertici dell’Etihad, hanno dettato le loro inappellabili condizioni per assicurare che il loro investimento di ben 560 milioni di euro, vada a buon fine e soprattutto renda.  E’ la regola del mercato e del business che non guarda in faccia nessuno. Neppure i 2.500 lavoratori che, manco a farlo apposta, resteranno con il cerino in mano ad attendere speranzosi che non sia il loro turno. L’avevamo detto fin dall’inizio che il funesto 2008 si sarebbe riproposto come un boccone mal digerito.  Nessuno ci credeva o probabilmente faceva finta di voltare lo sguardo ben oltre, pensando a un futuro idilliaco per Alitalia.

Invece i numeri drammatici dei tagli, confermati dallo stesso ministro del lavoro Giuliano Poletti, parlano da soli: “Da quel che posso capire c’è una valutazione intorno ai 2.400-2.500 esuberi – ha detto Poletti -, almeno da quelle che sono le risultanze pubbliche, poi la discussione di merito ci sarà quando Alitalia e le parti discuteranno il piano”. E poi: “Ancora nessuna  idea sui costi per attivare gli ammortizzatori sociali. Di sicuro, avverte Poletti, “c’è un fondo volo che è nelle disponibilità del Ministero delle Infrastrutture  e viene utilizzato per questa tipologia di interventi ma bisogna capire come si configurerà non essendoci ancora un accordo”.

Insomma, inutile fare giri di parole. I lavoratori pagheranno come sempre e anche per l’indotto varesino si prevede una bella ‘mazzata’. Sembra infatti che Etihad punti su Linate  e non su Malpensa. Un altro fattore che penalizzerebbe il secondo scalo nazionale, per il quale si prevede esclusivamente il traffico cargo.  “A me pare una follia ridurre Malpensa che è la porta d’accesso per l’Expo, visto che i voli intercontinentali arrivano lì”, ha replicato tempestivamente il presidente della Regione Lombardia, Roberto Maroni. “Se si riduce la capacità di Malpensa, i voli arriveranno a Parigi, quindi subirà un danno anche l’Expo: non si può pensare di sostituire Malpensa con Linate”.

“Non so chi ha avuto questa idea geniale, Malpensa è già il primo aeroporto cargo in Italia. Ma la sua vocazione è di essere un hub, un grande aeroporto passeggeri e cargo. Mi pare che ci sia l’idea di ridurre Malpensa, di ridurne i voli e le capacità, danneggiando quindi Malpensa e il sistema aeroportuale lombardo: chi pensa questo avrà l’ostilità della Regione Lombardia e non solo”. Insomma, aggiunge Maroni, «l’indotto di Malpensa verrebbe fortemente penalizzato, io sono molto preoccupato di queste voci». Il governatore, infine, ribadisce: «Nei prossimi giorni incontrerò il ministro Lupi per avere chiarimenti e rassicurazioni, altrimenti scenderemo sul piede di guerra». 

E sul piede di guerra, almeno a parole, sembrano essere anche la quasi totalità delle sigle sindacali, le quali chiedono all’unisono un incontro per definire le richieste del piano e definiscono inaccettabili i tagli previsti. Cauta la posizione di Susanna Camusso, segretario generale della Cgil, che taglia corto sulla questione: “Finchè non avrò visto il piano non farò alcun commento”.

Ma gli imprevisti non finiscono qui. Anche la Commissione Ue con il portavoce del responsabile dei trasporti Siim  Kallas ha fatto sentire la sua voce: “La compagnia aerea deve non solo avere una proprietà europea di  maggioranza, ma il suo controllo deve restare in mani  europee”. Un avvertimento che ribadisce le norme vigenti del regolamento Ue 1008/2008. “Sta alle autorità italiane che hanno concesso la licenza a operare assicurare che il  controllo resti in mani europee”. Insomma, questo matrimonio ancor prima della celebrazione ufficiale sta creando non poco scompiglio. E  se le cose stanno veramente così, non poteva iniziare peggio.

 

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