Roma, città chiusa alla cultura

Che cosa succede a Roma? Tra le migliaia di problemi gestionali, buchi di bilancio, caos nella viabilità, scandali nei trasporti, allagamenti e mancata raccolta della spazzatura, c’è un altro tema finora “strisciante” ma da ieri esploso in piazza: il crack del sistema cultura.

Crisi economica uguale crisi culturale? Forse, o meglio sì, ma con riserva. La carenza di fondi pubblici e privati di certo incide, senza soldi non vi è produzione, conservazione o valorizzazione, ma il problema romano è più grave e più profondo. È un problema etico.

Se i tagli ai fondi sono stati decisi in parte a livello nazionale (si pensi alla triste soppressione dell’ETI, Ente Teatrale Italiano), altri sono stati disposti dalla corrente amministrazione comunale che non ravvede le ovvie ricadute economiche e occupazionali di un investimento in cultura e che, alla colpevole cecità, aggiunge l’inspiegabile mutismo verso i suoi diretti interlocutori, che sono gli operatori culturali (tanti credete, tanti), ma anche i cittadini tutti.

L’ultimo colpo di scena è l’affaire Estate Romana. Come ogni anno le associazioni locali hanno partecipato al bando comunale per il finanziamento di progetti. Le graduatorie appena pubblicate mostrano un forte taglio ai finanziamenti proprio ai danni delle realtà prestigiose che, nel tempo, hanno reso grande la kermesse estiva. Molti sono addirittura stati esclusi. E il Sindaco Marino non parla con queste realtà. Ma soprattutto – dopo le dimissioni della discussa Flavia Barca – non nomina un Assessore alla Cultura. Come dire che il sindaco di Las Vegas un giorno si svegli completamente disinteressato al gioco d’azzardo!

Ora è chiaro che il tema non è solo economico. Tutto ciò significa ignorare il contesto socio-culturale della propria città, e non accettare un dialogo con gli operatori del settore significa non rispettarne i cittadini.

La questione è arrivata al parossismo. Non è ovviamente un tema partitico (anche perché il Sindaco Marino è riuscito a metter d’accordo Destra e Sinistra nell’opposizione al suo mancato operato), ma non si può non considerare che la Sinistra si è sempre fatta vanto della cultura che ora sta uccidendo. E toccare l’Estate Romana significa freddare la creatura di Renato Nicolini, fino a ieri celebrato eroe della Sinistra di cui era figlio.

Chissà cosa ne penserebbe lui della Festa dell’Unità alla Casa del Jazz al posto del tradizionale Festival estivo…

Dal mio osservatorio, che è in particolare quello dell’arte contemporanea, ravvedo una ulteriore preoccupante fenomeno e debbo dirlo: l’apparente sconforto degli addetti ai lavori.

Da tempo al centro dei pensieri degli operatori del contemporaneo vi è il Museo MACRO, ora con un direttore ad interim in scadenza e privo del personale necessario, senza una guida e una programmazione seria. Questa situazione influenza inevitabilmente l’attività di tutti, dalle gallerie ai curatori, dagli artisti alle fondazioni etc, ma… giustifica il crescente disincanto o finanche il disinteresse? Una consulta per l’arte contemporanea si è costituita, ma perché – mi domando – alla serata del Premio MAXXI 2014 (il 13 giugno) vi erano si e no dieci addetti ai lavori? E peggio, erano la metà la mattina stessa per la performance dell’artista Marinella Senatore, poi vincitrice.

In un momento di difficoltà perché la partecipazione è stata questa? Specie se si considera che il lavoro della Senatore parte proprio dalla crisi del ruolo delle istituzioni museali e propone un diverso modello di relazione museo /utente.

La questione è delicata, fatta di equilibri che non sono solo legati all’arte, ma che molto sono connessi anche al mercato, però vi è il dubbio che lo sbando cittadino abbia lasciato emergere una duplice traiettoria: da una parte un crescente sguardo verso l’estero (che è opportuno sempre, ma se esclusivo è cieco e solo in alcuni casi fruttuoso), dall’altro uno sconforto legato alla necessità di reinventarsi ogni giorno, che solo in parte spiega la mancata partecipazione.

Le “fazioni intestine” giocano poi un ruolo rilevante, ma la questione è un’altra: Roma – degna figlia del Paese che continua a crogiolarsi nell’idea di avere il maggior numero di beni culturali al mondo, lasciandoli crollare – sta tradendo la fiducia dei suoi cittadini, pure di quelli che non lavorano con le istituzioni o di quelli che non si interessano di cultura, perché si sta snaturando nell’attesa che qualcosa o qualcuno (che/chi?) riporti alla stabilità [di bilancio?] una città che in questi giorni affoga.

Se così non è, che il Sindaco ci dica, noi siamo pronti ad ascoltare.

 

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