Renzi, il premier dell’autostima. Ottimismo sfrenato, problemi sotto il tappeto

ROMA – E’ sempre più raro trovare la franchezza e l’onestà. Esistono invece delle persone che, non tanto per ottimismo, quanto per ottusità continuano a prevedere rosei futuri a suon di austerità, mentre si allarga sempre più il divario tra ricchezza e povertà.  Avere consapevolezza di questa drammatica realtà dovrebbe  essere una prerogativa di chi governa il Paese, di chi – almeno in teoria – ha tutti i requisiti per comprendere appieno lo status sociale ed economico ed agire di conseguenza.

Da Platone a Carlo Marx si sono succeduti una miriade di pensatori che, attraverso la ricerca della verità, hanno tentato affannosamente di poter diventare esempi emblematici di moralità e comportamento politico nei confronti della comunità. Oggi la stessa comunità  è un’entità abbandonata a sé stessa, mossa solo ed esclusivamente da un’economia avida, che guarda ai numeri e ai bilanci, ma non alle persone che la animano. Se ne sono accorti anche i Vescovi,  quando hanno bacchettato il premier Matteo Renzi il quale nel tentativo di risollevare l’Italia, spesso si dimentica degli italiani, delle loro condizioni reali e delle loro necessità più urgenti. Esattamente come fecero i suoi predecessori,  da Berlusconi a Monti passando per Letta. 

Le parole pronunciate dai porporati sono stati chiare ed esplicite: “Basta slogan, Renzi ridisegni l’agenda politica”.  “La Chiesa pensa che bisogna guardare con più realismo alle persone che non hanno lavoro e che cercano lavoro. Il dibattito su articolo18 sì, articolo18 no è meno centrale e io vi vedo troppe bandiere che sventolano”, ha detto il segretario generale della Cei, monsignor Nunzio Galantino, a margine del Consiglio episcopale permanente. Insomma, ci vuole poco a capire che Renzi non è all’altezza del compito affidato dal suo partito, e non dagli italiani, visto che nessuno l’ha votato. Non è in grado di capire che probabilmente l’Italia ha bisogno di cambiare prima tra tutte le attuali discipline economiche che continuano a dettare le regole d’austerità al Paese, nonostante l’insostenibilità di chi le subisce.

Non basta citare davanti agli americani che il telefono è un’invenzione tutta italiana, elogiando Antonio Meucci, per ridare credibilià a un Paese  in cui le vere eccellenze sono state cancellate dalle agende politiche. La sfida non si può vincere con le parole, ma con i fatti e con la capacità di comprendere quale siano le mosse giuste per il bene comune.

Ieri il premier si è spinto fino alla sede della Chrysler ad Auburn Hills nel Michigan dove è stato accolto, in pompa magna,  dal presidente del gruppo nonché amministratore delegato della Fiat,  Sergio Marchionne. Peccato che Detroit,  un tempo capitale americana delle automobili, sia ora  una città spettrale, che tenta  a stento di risollevarsi almeno con l’agricoltura. Altro che sede della Fiat Chrysler che Renzi decanta come il secondo edificio più grande dopo il Pentagono. A Detroit per comprare una casa basta un dollaro e il 60% dei bambini vive in condizioni di povertà. Una città che potrebbe definirsi l’emblema del fallimento del capitalismo, lo stesso che Renzi vuole rincorrere, in una sinistra progressista che somiglia sempre più alla destra.

Sono i fallimenti economici che andrebbero studiati fino in fondo, proprio per non ripetere gli stessi errori e trovare percorsi alternativi, e non facili successi ottenuti grazie all’effetto mediatico.  Ma Renzi sembra solo elogiare se stesso e lo dice esplicitamente quando afferma: “Non ho grandi problemi di autostima”.  Il presidente del Consiglio, dal canto suo,  è arrivato addirittura ad affermare che “non è lui la causa del cambiamento, ma è l’effetto del cambiamento”. Ma di quale effetto e di quale cambiamento parla Renzi? Probabilmente all’azzeramento di tutti i diritti acquisiti fino ad oggi. 

Va alla silicon Valley, visita  gli startupper  italiani, incontra i giovani scienziati italiani  fuggiti dalla madre patria, non sempre per scelta ma spesso per necessità,  e chiede loro di indicarci la via del successo. Ma questa è davvero l’innovazione a cui pensa?

Ogni Paese ha le sue peculiarità, la sua cultura e il suo passato imprescindibile. Lo stesso che le agende politiche hanno per troppo tempo ignorato. “Il futuro  è da costruire”, dice Renzi. Eccome se lo è. Ma va  costruito sulla base delle particolarità radicate nei secoli nel territorio.  Oggi, in un momento di crisi così profonda,  si potrebbe dire con estrema sincerità,  che il nostro futuro è rappresentato dal nostro passato e che le strade alternative pensate sempre con le stesse logiche di mercato ormai rappresentano il fallimento. 

Certo, va benissimo pensare al progresso e ai suoi effetti collaterali, ma solo quando porta uno sviluppo sostenibile sotto tutti i punti di vista e, soprattutto quando i suoi benefici possono  essere estesi a tutte le fasce sociali. Non si capisce invece quale sia il futuro che decanta Renzi. Al di là delle false promesse occupazionali, al di là degli slogan propagandistici, c’è una grande confusione nel disegno programmatico di questo governo,  che vuole apparire vincente continuando ad ignorare la realtà di un Paese in ginocchio. Insomma, siamo all’anticamera dell’ennesimo fallimento della politica.

Condividi sui social

Articoli correlati