Meridiana. Il modello sociale 3.0

Si è chiusa pochi giorni fa la lunga vicenda della compagnia aerea Meridiana  con circa 600 licenziamenti e un forte abbattimento salariale per chi è sopravvissuto

ROMA – Raccontare la storia dei lavoratori Meridiana vuol dire rappresentare un modello che rischia di estendersi a tutti i lavoratori italiani.

Un modello fatto di binari morti in cui i dipendenti sono lasciati a “marcire” con aziende che creano satelliti a basso costo dove investire lo sviluppo. E un governo che alza bandiera bianca davanti all’avanzata di gruppi esteri che promettono investimenti.

Insomma un modello sociale che sacrifica le persone, anche quando non serve, per accontentare le aziende, sull’altare dello sviluppo.

Ma com’è possibile parlare di sviluppo se si continuano a tagliare i posti di lavoro? Com’è possibile pensare che anche i settori come il trasporto aereo, considerati strategici per un paese come l’Italia a vocazione turistica, devastino il futuro di migliaia di lavoratori di questo paese?

E’ umanamente impossibile accettare una condizione di questo tipo, non solo per chi la vive sulla propria pelle, ma anche per chi rischia di assumerla come un dato di fatto evidente per lo sviluppo industriale.

Perché non si può accettare che le aziende italiane si costruiscano paracaduti societari dove far confluire gli introiti e scaricare i costi, anche umani, dentro contenitori svuotati, senza investimenti, attività e prospettive.

Fa davvero inorridire, perché estremizzando, si potrebbe quasi pensare che si possa costruire una crisi ad hoc, dentro un azienda per poi tagliare definitivamente la parte di personale e costi che non si vuole tenere.

Da anni, la compagnia Meridiana ha lavorato allo sviluppo della controllata AirItaly , trasferendo tutta l’attività su questa società nata come Low cost del gruppo ma che in poco tempo ha acquisito un ruolo primario nell’assetto aziendale. 

Nessuna evidenza è riuscita a fermare l’operazione. Non sono servite le decine di denunce, né l’indignazione di migliaia di lavoratori consapevoli di un epilogo drammatico costruito a tavolino dalla dirigenza aziendale.

Non è servita la solidarietà dei cittadini, dei partiti politici e nemmeno del Papa, per fermare questo modello di distruzione chirurgica dell’ occupazione.

Non è servito perché il richiamo alla responsabilità da parte del Governo interessato a chiudere la vicenda con la vittoria del miglior offerente, ha trovato organizzazioni sindacali disposte a sacrificare altri lavoratori per l’ industrializzazione del settore.  Ma che in verità, invece di creare espansione non fa che fagocitare intere categorie dentro un imbuto da cui difficilmente potranno uscire.

Purtroppo dal 2008 tutto il trasporto aereo è testimone di una drammatica emorragia occupazionale che si contrappone al numero di lavoratori trasportati e allo sviluppo del settore. Ma non è l’unico settore ad aver provato la “cura” sociale 3.0

Si licenziano i padri di famiglia, le madri con figli disabili, le persone sole senza futuro. Si sacrifica la professionalità, la competenza in cambio dell’immagine e della disponibilità alla sottomissione sociale. 

Lo sanno bene i lavoratori dell’Alitalia che dal 2008 sono sacrificati in cambio di espansione dell’ azienda per cui hanno lavorato una vita. Quelli di Argol, Groundcare , Ams gettati nel baratro nonostante la grande competenza e il kow how. 

Lo sanno bene i lavoratori della Fiat, finiti in reparto di confino del polo logistico di Nola  in cui l’unica prospettiva è la disoccupazione certa.

I lavoratori ne sono consapevoli, ma non è sufficiente, soprattutto se le organizzazioni sindacali confederali di questo paese continuano ad accettare passivamente questo modello dei primi del 900, in cui lo sviluppo è direttamente proporzionale al modello di sfruttamento delle maestranze, schiacciate sulla necessità di sopravvivere delle aziende.

Le responsabilità ancora una volta sono del Governo, che non ha spinto perché fossero messi in campo strumenti alternativi per evitare l’ennesimo massacro sociale.

In Meridiana si potevano unificare le due società, e con l’acquisizione della Qatar, avviare sistemi di sostegno al reddito transitori che avrebbero permesso di lasciare tutti dentro l’azienda. Ed invece si è preferito scaricare tutti i costi sociali sulla collettività, aumentando l’esercito di disoccupati (e famiglie ) di questo nostro povero paese.

Purtroppo uno Stato che ragiona come una colonia difficilmente riuscirà ad uscire dalla condizione di recessione in cui è finito. 

Ai lavoratori di Meridiana va il merito di aver lottato fino alla fine ed oltre la fine, per la dignità della storia lavorativa da cui provengono e per il diritto ad un futuro lavorativo.

A tutti gli altri la riflessione che le lotte, che sembrano appartenere ad alcuni settori, sono di tutti i lavoratori, perché il sistema che si sperimenta in alcuni comparti  è un laboratorio sociale generale. E soprattutto che, per fermare questo modello la risposta deve essere solidale e generalizzata.

Condividi sui social

Articoli correlati