Rifiuti. Da Albano all’Unione europea, ricorso contro l’inceneritore

ROMA – Il primo ricorso all’Unione Europea contro l’impianto di incenerimento di Roncigliano è stato oggi depositato.

Il promotore è il Coordinamento contro l’inceneritore di Albano, ormai da tempo rinominato No Inc, che si è rivolto alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea accusando i promotori politici di tale opera di una serie di irregolarità che la renderebbero illegittima. I procedimenti illegali denunciati sarebbero l’assenza delle gare d’appalto pubbliche (europee e nazionali) necessarie per assegnare l’opera, la violazione delle norme sulla concorrenza nonché la richiesta illegittima di contribuzione pubblica. Nel 2007 infatti l’appalto riguardante l’impianto di incenerimento fu assegnato dal Commissario straordinario all’emergenza rifiuti della Regione Lazio Piero Marrazzo tramite decreto, ossia senza una gara che permettesse che progetti differenti potessero essere presi in considerazione. A beneficiare della “vittoria per assenza di avversari” fu, come risaputo, il CoEMa, un consorzio appartenente al monopolista dei rifiuti romani Manlio Cerroni.

 

Un consorzio creato ad  hoc con atto privato notarile

 Il consorzio venne creato ad hoc per l’occasione albana tramite un atto privato notarile, e nel suo Statuto prevedrebbe a sua volta l’assegnazione delle singole fasi di costruzione dell’impianto ad altre imprese del consorzio, eliminando anche le eventuali gare di assegnazione necessarie, secondo le leggi nazionali ed europee, per i sub-appalti.
L’accusa di richiesta illegittima di contributi pubblici si riferisce invece al finanziamento che il costruttore dell’opera riceverà tramite i Cip6, ossia una entrata diretta versata da tutti i cittadini tramite una voce delle bollette dell’elettricità. Sebbene questo tipo di finanziamento, mascherato per anni come contributo per le fonti di energia pulite, venne bloccato da una direttiva dell’UE a partire dal gennaio 2009, in Italia il suo utilizzo fu prorogato con vari escamotage in modo da farvi rientrare ancora alcuni impianti messi in progettazione, tra cui quello di Albano.

Il Consiglio di Stato smentisce il Tar

Il passaggio al livello europeo della lotta del Coordinamento è stato necessario dopo l’ultima sentenza del Consiglio di Stato, a cui aveva fatto ricorso l’imprenditore Cerroni. Nel dicembre 2010 il movimento cittadino ottenne infatti una vittoria presso il Tribunale Amministrativo della Regione Lazio. La sentenza del giudice accoglieva le osservazioni presentate dai querelanti e dichiarava comprovata “l’insussistenza tecnica” dell’impianto del Consorzio Ecologico Massimetta, nonché la sua incompatibilità con le caratteristiche del territorio, in particolare per l’incapacità di quest’ultimo di sopperire alle esigenze idriche del sistema di raffreddamento. Alla sentenza del Tar è seguito il ricorso del Consorzio presso il Consiglio di Stato,  la cui sentenza venne emessa nel marzo di quest’anno. L’impianto è autorizzato: nonostante la Valutazione di Impatto Ambientale negativa, ricevuta nel marzo 2008, la seconda VIA dell’ottobre dello stesso anno viene ritenuta sufficiente per l’autorizzazione, nonostante per il TAR fosse illegittima. La grande novità del processo, che potrebbe rappresentare un precedente pericoloso per vertenze simili, è la delegittimazione del TAR in questioni, come quella della gestione dei rifiuti, ritenute di “pubblico interesse” nelle quali si garantisce per la prima volta una più ampia discrezionalità di decisione agli organi politici. Il Consiglio di Stato afferma nella sua sentenza che “nel rendere il giudizio di valutazione di impatto ambientale l’amministrazione esercita una amplissima discrezionalità che non si esaurisce in un mero giudizio tecnico” ma “presenta al contempo profili particolarmente intensi di discrezionalità amministrativa e istituzionale in relazione all’apprezzamento degli interessi pubblici e privati coinvolti”.


Monito Ue all’Italia  che non rispetta le norme comunitarie

Il Tribunale amministrativo viene allora ammonito, ricordando come il suo ruolo sia quello di verificare eventuali “vizi di legittimità” senza sostituirsi all’amministrazione. Nella sentenza il problema dell’impatto dell’impianto sulla falda acquifera o in atmosfera viene liquidato come inesistente, in virtù della seconda VIA prodotta dalla Regione, un documento che era più in una dichiarazione politica che uno studio scientifico. Gli accertamento dell’ARPA del 2010, quelli dell’ENEL del 2011, nonché le affermazioni della Asl locale della prima VIA non vengono tenute da conto.
In altre parole la crisi del sistema rifiuti della Regione Lazio ha legittimano un intervento politico chirurgico, che non autorizza una più ampia concertazione democratica. Bisogna ricordare che giusto due giorni fa la Commissione europea ha inviato all’Italia un secondo avvertimento formale in merito al suo ritardo nel conformarsi entro due mesi alle norme sui rifiuti UE, finora infrante nella discarica di Malagrotta e negli altri siti di smaltimento laziali. A quanto pare poco importa che l’inceneritore di Malagrotta, fratello maggiore del futuro impianto di Albano, risulti misteriosamente fermo da diversi mesi. Secondo lo Stato far bruciare rifiuti privatamente resta ancora la soluzione migliore.

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