Rifiuti. Viaggio a Falcognana nella discarica contesa tra vigne e scarti d’auto

ROMA  – Immaginare che un vigneto possa fare da accoglienza all’ingresso di una discarica sembra pura fantasia. Invece è quello che si materializza al km 15,3 della via Ardeatina. Qui è cominciato il viaggio del cronista dell’agenzia Dire in quello che il ministro Andrea Orlando, il commissario Goffredo Sottile, Comune, Regione e Provincia hanno deciso debba diventare il dopo Malagrotta, almeno per due anni.

Imboccata la stradina presidiata dai ‘No discaricà, sulla sinistra si apre la campagna romana, quella parte di agro vincolato dal decreto dell’ex ministro del Mibac, Sandro Bondi, del 2010. Superato il cancello di ingresso la campagna fa spazio a un ‘sorprendentè vigneto, mentre a destra un muro altissimo divide dalla via Ardeatina. Un secondo cancello introduce a un ampio piazzale dove c’è la pesa dei camion e l’impianto di raccolta del percolato con quattro enormi fusti. Poi comincia la discarica vera e propria. Subito sulla destra una collina verde, cioè il primo lotto esaurito da tempo, quindi, immediatamente dopo una distesa di frammenti neri, in alcuni casi imballati in teli di plastica bianchi. È il cosiddetto fluff, cioè lo scarto non ferroso derivante dalla lavorazione delle carcasse d’auto. L’impianto della Falcognana lavora ‘in filierà con un altro impianto che dista pochi chilometri e che si trova nella zona di Santa Palomba. Qui ci si occupa, invece, della parte ferrosa delle carcasse, quella che viene mandata a recupero nelle acciaierie del nord Italia. La società che gestisce la filiera è la stessa: Ecofer Ambiente. Ha conquistato (suo malgrado) la ribalta delle cronache nell’ultimo mese per via della questione discarica, ma in realtà la sua presenza qui è antica. Fin dai primi Anni 90, appunto con lo stabilimento di Santa Palomba. Che è stato a un passo dalla chiusura verso la fine di quegli anni, quando sono cominciate le minacce mafiose ai danni di quell’attività gestita dall’imprenditore bolognese, Valerio Fiori.

Attacchi che arrivarono, con la loro eco, fino alla commissione bicamerale Ecomafie, dove riferì l’allora assessore regionale all’Ambiente, Giovanni Hermanin. Lo stesso che cinque anni più tardi, come consigliere regionale, avrebbe firmato insieme ad altri colleghi (tra cui Renzo Carella e Alfredo Antoniozzi) una mozione in cui quasi si obbligava Ecofer, a mò di titolo risarcitorio per evitare una fuga della proprietà e la conseguente chiusura dell’impianto, a individuare un’area dove costruire la discarica destinata allo smaltimento degli scarti.
Già, perchè dal 1997 in poi, la ditta aveva smesso di conferire gli scarti a Malagrotta e aveva cominciato il proprio viaggio per l’Italia in cerca di una nuova destinazione finale. Ed è proprio durante questi viaggi che Valerio Fiori ha conosciuto Francesco Maio, imprenditore abruzzese dei rifiuti, speciali e urbani. I due si sono piaciuti, è nata la Ecofer Ambiente ed è stato proprio Maio che ha messo a disposizione di Fiori tutte le maestranze, progettualità e tecnologie per realizzare la discarica di Falcognana. Insomma, dietro la Ecofer Ambiente, dietro le società fiduciarie che compaiono sia nell’assetto societario della Ecofer (la Cordusio) che in quello di Aria Srl, socio di maggioranza di Ecofer (in questo caso la fiduciaria è la Sofir) secondo quanto riferisce l’azienda, ci sono solo loro due: «Ma quale mafia». E ancora: «Se avessimo voluto nascondere qualcosa le fiduciarie sarebbero state in un paradiso fiscale, non in Italia». La prima autorizzazione è stata del 2003, con l’allora commissario Marco Verzaschi, c’è stata anche l’autorizzazione paesaggistica (visionata dall’agenzia Dire), che sembra essere tra le verifiche richieste dal ministro Orlando al commissario Sottile. Sono però cominciati i ricorsi al Tar e al Consiglio di Stato. Ecofer li ha vinti tutti. L’ultimo rinnovo della prima autorizzazione nel 2010. Poi si arriva all’emergenza a Roma e all’occhio del tavolo tecnico ‘allestitò dal commissario Sottile che cade su questa discarica di rifiuti pericolosi che, in quanto tale, garantisce più sicurezza di una ‘normalè per accogliere gli scarti della spazzatura capitolina. In particolare commissario ed enti locali pensano che il problema per due anni si possa risolvere utilizzando la cava che si apre esattamente di fronte a quella attualmente
utilizzata.

Questo buco di circa 1.500.000 mc è in parte scavato, mentre nella parte iniziale, quella più vicina alla via Ardeatina è completamente da sbancare. Inoltre non va dimenticato che la parte scavata va allestita e impermeabilizzata, a cominciare dall’apposizione di strati d’argilla che, però, col maltempo si impregna d’acqua e questo rallenta tutti i tempi. «Non sarebbe pronta prima di maggio prossimo», dice il personale della Ecofer. La discarica è dominata da una stradina, che altro non è che una fascia di rispetto di due ettari tra l’impianto e il terreno confinante. La Ecofer l’ha acquistata di recente dopo averla affittata per anni e questo ha dato adito a voci di ‘ampliamentì in vista della Falcognana. Un’ipotesi che sembra piuttosto improbabile visto che la discarica confina con terreni che andrebbero scavati, in un caso ci passano i tralicci dell’alta tensione per la vicina ferrovia e in due ci sono fossi che rappresentano un vincolo stringente. Il 13 agosto scorso il commissario Sottile, insieme a tecnici di Regione, Comune, Provincia e Ama, ha ‘ascoltatò Ecofer per quasi quattro ore. L’azienda ha fatto presente tutte le criticità della soluzione Falcognana: dai suoi progetti per i prossimi anni (almeno fino al 2020) all’impossibilità di accogliere 90 camion al giorno di rifiuti: «Al massimo ne protrebbero arrivare dieci». Sembra che di fronte a questi numeri a Sottile siano cadute le braccia. Ecofer ha anche ribattuto alla ‘contestazionè di una richiesta di ricevimento di nuovi rifiuti, spiegando che i nuovi codici cer in ingresso avrebbero rappresentanto circa il 20% delle 150 mila tonnellate annue autorizzate e che sarebbero serviti a gestire meglio il fluff, che è difficile da compattare. Secondo quanto apprende l’agenzia Dire, non c’è l’intenzione di modificare gli attuali volumi di rifiuti in ingresso alla Falcognana per affrontare il problema di Roma. Insomma, resteranno 150 mila le tonnellate sversabili all’anno. Nel 2012 Ecofer ne ha smaltite poco più di 70 mila. Ma va tenuto conto del periodo di crisi, che investe anche il settore auto. Al massimo la società è arrivata a 120 mila. Insomma, lo ‘spazio per Romà sarebbe di poche decine di migliaia di tonnellate. L’alternativa è l’esproprio e la lunga ‘giostrà legale che ne conseguirebbe. (DIRE)

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