Dall’Università di Bologna la protesi che rigenera tendini e legamenti danneggiati

Un dispositivo impiantabile che permette di sostituire (prima) e rigenerare (poi) il tessuto di un tendine o di un legamento danneggiato. È la nuova invenzione messa a punto da un gruppo di ricercatori dell’Università di Bologna: un supporto – tecnicamente noto come scaffold – in grado di riprodurre le caratteristiche meccaniche, morfologiche e fisiologiche non solo del tessuto tendineo o legamentoso, ma potenzialmente anche di quello muscolare e nervoso.

Lo strumento – brevettato dall’Ateneo bolognese – consente di rigenerare un tendine o un legamento lesionato. Dopo essere stato impiantato in corrispondenza dell’area danneggiata, lo scaffold viene infatti colonizzato dalle cellule che riproducono così progressivamente il tessuto nella sua struttura originale. Nella forma messa a punto dai ricercatori, il dispositivo di supporto si degrada naturalmente lasciando così spazio ai tessuti rigenerati. Ma cambiando il materiale utilizzato, è possibile utilizzare la stessa tecnologia anche per produrre protesi non riassorbibili, in grado di sostituirsi definitivamente a tendini o legamenti non più riparabili.

Quello ideato dal gruppo di ricerca bolognese è un dispositivo, ad oggi unico al mondo, basato su un metodo di produzione innovativo. “Per realizzarlo abbiamo utilizzato la tecnologia dell’elettrofilatura – nota come electrospinning – che permette di produrre fibre di diametro nanometrico”, racconta Alberto Sensini, uno dei ricercatori coinvolti. “In questo modo siamo riusciti a realizzare un dispositivo in grado di simulare tutti gli elementi che compongono un tendine o un legamento umano”. A differenza del tessuto osseo, infatti, la struttura di tendini e legamenti è estremamente complessa, tanto che fino ad oggi nessuno era riuscito a riprodurla in modo così accurato. “La struttura del nostro scaffold riproduce fedelmente quella del tessuto tendineo e legamentoso umano, anche nelle sue proprietà meccaniche”, conferma Sensini. “Essendo poi biocompatibile, biodegradabile e riassorbibile, permette di riparare e ricostruire i tessuti lesionati, ripristinandone l’originale funzionalità”. Uno strumento che, come si può immaginare, potrà rivelarsi particolarmente utile sia in campo chirurgico che nel settore biomedicale.

La tecnologia messa a punto dai ricercatori dell’Università di Bologna è oggi in una fase avanzata di prototipo, anche grazie a collaborazioni con alcuni tra i massimi esperti internazionali nel campo della tomografia a raggi-X, come Gianluca Tozzi, direttore dello Zeiss Global Centre dell’Università di Portsmouth (Regno Unito), e delle culture cellulari, e Gwendolen Reilly dell’INSIGNEO – Institute for In Silico Medicine dell’Università di Sheffield (Regno Unito). Nei mesi scorsi, lo scaffold è stato presentato al Biovaria di Monaco di Baviera, evento internazionale che riunisce scienziati europei, professionisti del trasferimento tecnologico, investitori e rappresentanti dell’industria biofarmaceutica, ed ha riscosso molto interesse anche al World Congress of Biomechanics di Dublino. Il dispositivo è stato messo a punto all’Università di Bologna da Alberto Sensini, Luca Cristofolini, Juri Belcari e Andrea Zucchelli del Dipartimento di Ingegneria Industriale e da Chiara Gualandi e Maria Letizia Focarete del Dipartimento di Chimica “Giacomo Ciamician”. L’invenzione è stata brevettata dall’Università di Bologna con il titolo “Scaffold multiscala gerarchico elettrofilato per la rigenerazione e/o sostituzione del tessuto tendineo/legamentoso e metodo di produzione”. 

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