Alzheimer, il lato oscuro di APOEe4: all’Irccs Fatebenefratelli parte una nuova ricerca

BRESCIA – Il nome della ricerca potrebbe sembrare il titolo di un film di fantascienza “il lato oscuro di APOEe4“.

In realtà si tratta di una ricerca per scoprire il meccanismo che scatena la malattia di Alzheimer, tuttora incurabile. Lo studio ‘The dark side of APOEe4: unravelling amyloid-independent effects in AD’ (Il lato oscuro di APOEe4: la scoperta dei suoi effetti non dipendenti da amiloide nell’Alzheimer) che parte in questi giorni all’Irccs Fatebenefratelli di Brescia, indaga l’influenza di un gene che codifica una proteina presente in modo importante nei malati di Alzheimer.

“II progetto mira a capire in che modo il principale fattore di rischio genetico (apolipoproteina epsilon 4) insieme all’età e al sesso influenzino l’insorgenza e la progressione del morbo – spiega la ricercatrice Moira Marizzoni, responsabile del progetto -. Il nostro studio indagherà le differenze nei marcatori di neuroimmagine, di infiammazione e di metabolismo tra portatori e non portatori della variante APOE-epsilon 4”. La metodologia è innovativa e il progetto è finanziato dall’Alzheimer’s Association, la più grande associazione no-profit in quest’ambito. Durerà 18 mesi.

La demenza di Alzheimer ha, in genere, un inizio subdolo: le persone cominciano a dimenticare alcune cose, per arrivare al punto in cui non riescono più a riconoscere nemmeno i familiari e hanno bisogno di aiuto anche per le attività quotidiane più semplici.

La demenza di Alzheimer oggi colpisce circa il 5% delle persone con più di 60 anni e in Italia si stimano circa 500mila ammalati. È la forma più comune di demenza senile, uno stato provocato da una alterazione delle funzioni cerebrali che implica serie difficoltà per il paziente nel condurre le normali attività quotidiane. La malattia colpisce la memoria e le funzioni cognitive, si ripercuote sulla capacità di parlare e di pensare ma può causare anche altri problemi fra cui stati di confusione, cambiamenti di umore e disorientamento spazio-temporale.

La malattia prende il nome da Alois Alzheimer, neurologo tedesco che per la prima volta nel 1907 ne descrisse i sintomi e gli aspetti neuropatologici. All’esame autoptico, il medico notò segni particolari nel tessuto cerebrale di una donna che era morta in seguito a una insolita malattia mentale. Infatti, evidenziò la presenza di agglomerati, poi definiti placche amiloidi, e di fasci di fibre aggrovigliate, i viluppi neuro-fibrillari. Oggi le placche formate da proteine amiloidi e i viluppi, vengono considerati gli effetti sui tessuti nervosi di una malattia di cui, nonostante i grossi sforzi messi in campo, ancora non si conoscono le cause.

Nei pazienti affetti da demenza di Alzheimer si osserva una perdita di cellule nervose nelle aree cerebrali vitali per la memoria e per altre funzioni cognitive. Si riscontra, inoltre, un basso livello di quelle sostanze chimiche, come l’acetilcolina, che lavorano come neurotrasmettitori e sono quindi coinvolte nella comunicazione tra le cellule nervose.

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