Il Caimano ottiene la fiducia ma l’Italia è nel caos

Vince per 314 a 311, conquistando il voto di quasi tutti gli indecisi. Si spaccano i finiani, oramai a rischio sopravvivenza. Una prova di forza acquistata dal Cavaliere per mettere in ginocchio il suo peggior nemico, di cui ora si chiedono le dimissioni

ROMA – Alla fine il Caimano l’ha spuntata. L’immagine plastica la si è avuta quando Massimo Calearo – eletto nel 2008 nelle file del Partito democratico, frutto della geniale trovata di Walter Veltroni – ha risposto alla seconda “chiama” andando a depositare il suo “no” alla mozione di sfiducia presentata dalle opposizioni. Era stato avvertito che, se ci fosse stato bisogno, gli avrebbero chiesto il voto e lui, obbediente, ha ubbidito.

Il Caimano ha ottenuto 314 voti contro i 311 favorevoli alla sfiducia. Oltre a Calearo, anche Scilipoti e Bruno Cesario, transfughi dall’Idv e dal partito di Rutelli, hanno sostenuto l’esecutivo, oltre a tre finiani (Polidori, Catone, Siliquini), che non hanno resistito al richiamo delle poltrone e delle prebende, promesse a piene mani dal Caimano. Silvano Moffa, oramai in rotta con Fini e Antonio Gaglione (anche lui un transfuga, dal Partito democratico) non hanno partecipato al voto. Da segnalare il voltafaccia dell’ultimo momento di Catia Polidori (Fli), la cui famiglia è proprietaria del “Cepu”, l’azienda che prepara gli studenti per gli esami universitari. Di lei Luca Barbareschi ha detto: “Persone come la Polidori è meglio perderle per strada. Ieri aveva confermato il no alla fiducia e poi stamattina ha detto che aveva problemi con il Cepu. Ma vi rendete conto che cosa sta succedendo? Siamo alla corruzione di Pubblico Ufficiale”.

Fini sconfitto

Atmosfera da tregenda alla Camera, per una delle votazioni più convulse della storia parlamentare italiana. Già il surriscaldamento del clima si era manifestato in tutta la sua forza durante l’intervento di Antonio Di Pietro, che, come sempre, non aveva fatto mancare i suoi strali al premier (“Non le rimane che dare le dimissioni e consegnarsi ai magistrati”), suscitando le urla dei berlucones e l’uscita dall’aula del Caimano. Poi, durante la sfilata dei deputati sotto il banco presidenziale, un esponente del Pdl aveva mostrato tutto il suo charme, la sua preziosa preparazione politica, frutto di anni di frequentazioni oxfordiane, gridando il suo “Noooooo” alla mozione di sfiducia ed apostrofando Gianfranco Fini con un classico “pezzo di m.”. Certo è che la strategia mercantile di Silvio Berlusconi ha pagato e il risultato che si era prefisso è stato raggiunto, in una Roma assediata da centomila studenti e da tremila agenti delle forze dell’ordine, gli stessi che, fino a qualche ora prima, avevano manifestato sotto Montecitorio per denunciare le false promesse del governo in materia di finanziamenti.

Fini è stato pesantemente sconfitto ed ora nessuno è in grado di fare previsioni sulla compattezza del suo gruppo. Moffa (che ha chiesto le dimissioni di Italo Bocchini da presidente del gruppo parlamentare di Fli)  ed almeno altri tre esponenti dei finiani saranno quasi sicuramente riassorbiti dal gruppo berlusconiano, con l’assegnazione di poltrone e prebende, frutto evidentemente di una serrata trattativa. Ma c’è da chiedersi se l’emorragia si fermerà a queste persone. Era esattamente quello cui mirava il Caimano. Per questo, le stesse parole di un ingenuo (o finto tale) Casini, questa mattina, erano risuonate come le perorazioni di un leader che mostra ancora di non aver capito come intende la politica il magnate di Arcore. Casini si era chiesto perché Berlusconi abbia voluto questa prova muscolare fine a se stessa. Il voto di fiducia ha risposto al posto del Presidente del Consiglio, perché esso è potenzialmente produttivo di un ricompattamento della maggioranza, anche a scapito di molti deputati del partito di Casini, che ora potrebbero spingerlo ad accettare l’immissione nell’area di governo o, perlomeno, un appoggio esterno dell’esecutivo.

Il trionfo di Berlusconi

La riflessione più immediata che si può formulare sul voto di oggi alla Camera dei deputati è che Berlusconi ha puntato esattamente sulla sola carta che gli avrebbe consentito di sopravvivere alla più grave crisi di una sua maggioranza ed era la carta giusta. Sconfiggendo Gianfranco Fini ha dimostrato di essere più forte e di non temere nessuno. Grazie esclusivamente alla sua potenza economica, alle sue televisioni, al sostegno di un Vaticano quanto mai pervasivo nella società e nei palazzi che contano, il Caimano aveva compreso che la lotta politica riguardava lui e il Presidente della Camera, che i numeri inizialmente non c’erano e che bisognava, dunque, conquistarseli con le armi che lui meglio conosce e di cui più dispone. A tutto ciò – dispiace dirlo – si aggiungeva la mano benigna, per quanto inconsapevole, dello stesso Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che obbligava le forze in campo a disputare una incerta finale a distanza di oltre un mese, in modo tale da consentire al Caimano di perfezionare la sua azione, scompigliando e dividendo il campo avverso in un Parlamento per giunta chiuso e con i deputati alla spasmodica ricerca di una ricollocazione. Se la mozione di sfiducia fosse stata votata immediatamente, il risultato sarebbe stato diverso.

Tutto ciò in un Paese illividito da centinaia di migliaia di studenti e lavoratori che agitano i loro fumogeni ed occupano scuole e università, con la polizia che militarizza i centri storici. Berlusconi esce ancora una volta dalle macerie fumanti, come nella preveggente scena del film di Daniele Luchetti e Nanni Moretti.

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