Alì, il pugile che rivoluzionò la boxe e cambiò l’America

ROMA – Il prossimo 17 gennaio Muhammad Alì, il più grande pugile di tutti i tempi, compie 72 anni. Prima di lui la boxe era solo violenza e brutale forza fisica; nel suo ventennio di attività “il labbro di Louisville” – era il suo soprannome perché amava parlare tantissimo – introdusse la velocità di gambe, la raffinatezza delle tecniche per portare più colpi in rapida successione e la pianificazione di raffinate strategie per vincere gli incontri.

Alì non è stato solo per tre volte campione del mondo dei pesi massimi: negli anni ’60 divenne soprattutto il simbolo delle rivendicazioni e delle lotte dei neri afroamericani. Strinse una profonda amicizia con Malcolm X, il leader della protesta violenta che fu assassinato nel 1965.

Il giovane Cassius Clay – questo il suo vero nome prima della conversione alla religione islamica – si mise in luce a soli 18 anni, quando partecipò alle Olimpiadi di Roma nel 1960.

Tutto il mondo rimase stupito dalla sua simpatia e soprattutto dalla sua classe sul ring. Nessun pugile della categoria dei pesi massimi era mai stato così veloce. Era semplicemente impressionante come schivava i colpi degli avversari. A Roma vinse la medaglia d’oro e nel 1961 passò al professionismo.

La sua carriera fu rapidissima e dopo appena tre anni sfidò

l’allora campione del mondo, il temibile Sonny Liston. L’incontro si svolse a Miami il 25 febbraio del 1964. All’interno del ring si confrontarono due scuole completamente diverse: il campione era lento, sgraziato, ma aveva una potenza spaventosa, spesso terrorizzava gli avversari. Cassius Clay era invece elegante, rapido nei movimenti, agile con le gambe e con le braccia. Al termine dell’ottava ripresa Liston in evidente difficoltà e con il volto tumefatto si ritirò. Cassius Clay all’età di 22 anni era il nuovo campione del mondo dei pesi massimi.

Subito dopo prese una decisione che scatenò molte polemiche: si convertì all’Islam e cambiò il suo nome in Muhammad Alì.

Sino al 1967, difese con successo otto volte il titolo; sembrava imbattibile, nessun sfidante poteva impensierirlo. Fu il governo degli Stati Uniti che gli tolse la corona dei pesi massimi: nel 1967, in piena guerra del Vietnam, al giovane Muhmmad Alì arrivò la chiamata alle armi. Il pugile ancora una volta sbalordì il mondo e con un gesto clamoroso rifiutò di andare sotto le armi. In una celebre intervista televisiva disse: “Non ho niente contro i Vietcong, non mi hanno mai chiamato negro”. La reazione del governo Usa fu durissima: ad Alì venne tolto il titolo mondiale e per ben tre anni non potè salire sul ring. Nell’impossibilità di poter combattere, Alì concentrò le sue forze per i diritti civili dei neri. In quegli anni in molte città americane esplodeva la rivolta nei ghetti e l’ex campione si fece interprete e leader della rabbia degli afroamericani organizzando marce di protesta nel paese.

Dopo una lunga battaglia giudiziaria Alì riuscì tornare sul ring nel 1970 e dopo due vittorie sfidò l’allora campione del mondo, quel Joe Frazier che divenne il suo più temibile avversario. Quello che fu denominato “L’incontro del secolo” si svolse al Madison Square Garden di New York nel marzo del 1971. Nonostante Alì avesse ostentato la sua solita spavalderia pronosticando una facile vittoria, le cose andare diversamente. Dopo una sosta forzata di tre anni, l’ex campione non era in realtà pronto per affrontare Frazier, che invece era all’apice della sua potenza fisica. Alla fine di quindici round durissimi, la vittoria di Frazier fu netta e limpida. L’onta della prima sconfitta dopo tanti anni di carriera non demoralizzò l’ex campione anche se negli anni settanta nuovi temibili atleti si affacciarono alla ribalta del ring come il terrificante George Foreman, il potente e statuario Ken Norton e pericolosi outsiders come Ron Lyle, Earnie Shavers e Jimmy Young.

Dopo una seconda e inaspettata sconfitta contro Ken Norton nel marzo del 1973, Muhammad Alì stupì nuovamente il mondo della boxe quando nel 1974 sfidò George Foreman che, dopo aver letteralmente demolito in due round Frazier, era diventato l’indiscusso campione del mondo dei pesi massimi.

L’incontro si disputò a Kinshasha, nell’ex Zaire, e passò alla storia come uno degli avvenimenti sportivi più seguiti della storia. Fu un match durissimo in cui Alì con un’abile strategia riuscì a far stancare il suo potentissimo avversario. All’ottavo round, Alì colpì con una serie di diretti al volto Foreman che cadde al tappeto. Contro tutti i pronostici che davano Foreman vincente, Alì si aggiudicò l’incontro tornando campione del mondo dei pesi massimi. Il pugile di Louisville aveva compiuto un vero e proprio miracolo: si era ripreso il titolo dieci anni dopo l’incontro con Liston.

Anche se in lento declino, rimase il re incontrastato del ring sino al febbraio del 1978, quando perse il titolo contro il giovane Leon Spinks.

L’ultima “magia” di Alì fu la riconquista per la terza volta del titolo mondiale dei pesi massimi sempre contro Leon Spinks nel settembre del 1978. Si ritirò definitivamente dalla boxe a quasi quarant’anni nel 1981 dopo aver perso contro Trevor Berbick.

Dopo aver combattuto per una vita contro i pugni dei suoi avversari, ora Alì si trovò difronte un temibile avversario impossibile da sconfiggere: il morbo di Parkinson che gli fu diagnosticato nel 1984. A seguito della malattia, ridusse di molte le sue apparizioni pubbliche sino al 1996 quando inaugurò le Olimpiadi di Atlanta. Nel 2001 il regista Michael Mann girò sul film sulla sua straordinaria carriera. Le ultime uscite pubbliche dell’ex campione furono in occasione della morte del suo eterno rivale Joe Frazier nel novembre del 2011 e per il suo 70° compleanno nel gennaio del 2012.

Mohammad Alì resterà per sempre come una delle figure più significative per gli afroamericani e sicuramente come il più grande boxeur della storia.

Condividi sui social

Articoli correlati