Giuliano Sarti: l’inizio di una preghiera laica

“Sarti, Burgnich, Facchetti…”: è stato per tanti anni l’inizio di una delle più belle preghiere laiche della storia del calcio.

Giuliano Sarti, infatti, era il portiere della Grande Inter, l’eroe delle notti di Coppa dei Campioni, l’eroe tragico della disfatta di Mantova, il Leonida della Fiorentina che perse in quelle Termopili sportive che furono i novanta minuti disputati a Madrid contro il magno Real delle cinque coppe consecutive, quando i Viola giocarono contro una squadra troppo forte, troppo affiatata e troppo ricca di campioni per potervi competere alla pari. 

Se ne va Giuliano Sarti e, con lui, ci lascia un pezzo importante della nostra vita e del Paese, in quanto Sarti, con la sua mitezza, il suo temperamento e la sua classe sopraffina, è stato senza dubbio un protagonista degli anni Cinquanta e Sessanta.  Ci dice addio il faro di tante domeniche e di tanti mercoledì, il punto di riferimento per molti dei suoi successori, colui che innovò il modo di stare tra i pali e non rinunciò mai ad abbinare il talento all’eleganza, l’efficacia alla bellezza stilistica, il carisma all’umanità, la forza d’animo a dei solidi princìpi morali.

Giuliano Sarti seppe essere unico nel suo genere: un mito umile, un fuoriclasse della porta accanto, a modo suo un rivoluzionario, di sicuro un esempio positivo per più di una generazione, da tutti ricordato come un galantuomo e come una bandiera di un calcio che, purtroppo, non c’è più. 

Aveva 83 anni e adesso brilla lassù, insieme a tante altre stelle di quel firmamento ideale costituito dagli astri senza tempo: le stelle speciali che risplendono non solo per ciò che hanno fatto sul campo ma, più che mai, per ciò che sono stati nella vita e per ciò che hanno rappresentato per tutti noi.

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