Max Allegri: il pragmatismo al potere

E son cinquanta, caro Max: auguri! Allegri, tecnico della Juventus, raggiunge un traguardo importante e sono sicuro che, con la verve tipica dei livornesi, saprà festeggiarlo come si conviene.

Tuttavia, dubito fortemente che si lascerà distrarre dall’evento, essendo un personaggio che, se fosse stato protagonista nel mondo del calcio degli anni Trenta, sarebbe stato Carcano, negli anni Settanta-Ottanta il Trap e nei Novanta Lippi. Allegri, infatti, è un allenatore bonipertiano in tutto e per tutto: uno che ha trovato alla Juve la sua dimensione ideale, ampiamente sottovalutato dai suoi non pochi detrattori, giunto a Torino in punta di piedi e capace di regalare ai tifosi bianconeri tre doppiette di fila, fallendo la conquista della Champions League solo perché si è trovato davanti, in finale, due corazzate oggettivamente ancora inarrivabili.

Eppure il Max non si è perso d’animo, e ora che la Juve è disegnata a sua immagine e somiglianza siamo certi che riuscirà a lavorare con ancora maggiore efficacia e intensità, essendo oltretutto un tipo che conosce bene la provincia e la gavetta, la fatica e il sudore, per nulla incline agli eccessi e solido come il granito per quanto concerne la visione del futuro e il fatto di non montarsi la testa nemmeno quando sarebbe lecito farlo.

Max Allegri è un operaio specializzato in trionfi, uno che, per dirla con il grande Dino Zoff, timbra ogni giorno il suo cartellino e si impegna con dedizione assoluta; inoltre, sa cosa vuole e con chi vuole realizzarlo e non c’è dubbio che un ragazzo in gamba come De Sciglio, tanto per citarne uno, alle sue dipendenze non farà rimpiangere il pur plurititolato Dani Alves.

Sobrio, schietto, pragmatico all’inverosimile, convinto, al pari di Deng Xiaoping, che non importa se il gatto sia bianco o nero perché l’importante è che acchiappi i topi, ha dato alla Vecchia Signora un gioco gradevole e senza fronzoli, senz’altro non il migliore in circolazione ma, al tempo stesso, il solo in grado di consentire alla squadra di raggiungere due finali di Champions in tre anni senza perdere di vista gli altri obiettivi.

Per di più, ha una capacità rara di mettersi in discussione, modificando schemi e convinzioni, cambiando la formazione a partita in corso ed adattandola alla perfezione a seconda delle circostanze. Quest’anno poi, con l’arrivo di Bernardeschi e Douglas Costa e l’innesto di ulteriore qualità in tutti i reparti, Allegri sta riuscendo nell’impresa di plasmare la sua creatura in un’ottica compiutamente europea, con la certezza che ne beneficeranno pure lo spettacolo e la godibilità delle singole partite.

Fatto sta che alla Juve vincere non è importante: è l’unica cosa che conta, e Max ne era convinto anche prima di sedersi su una delle panchine più prestigiose e scottanti del panorama calcistico mondiale. Per questo, sotto la Mole, è riuscito a dare il meglio di sé, facendosi apprezzare da un ambiente refrattario agli entusiasmi e segnalandosi come una persona davvero onesta e perbene, in una stagione caratterizzata, specie nel  panorama calcistico ma non solo, da esibizionisti senz’arte né parte che vendono molto fumo e, alla lunga, dimostrano unicamente la propria inconsistenza.

Allegri, al contrario, non ha promesso nulla: ha agito come si deve e ottenuto i risultati per i quali è stato chiamato, instaurando oltretutto un rapporto di collaborazione e di sincera amicizia con la società e con i suoi principali dirigenti. 

E se ci fosse ancora l’Avvocato, probabilmente, lo avrebbe paragonato a Michelangelo: essenziale e geniale nei singoli tratti ma desideroso che l’opera sia valutata nel suo insieme, al di là della meraviglia estetica dei vari personaggi. 

L’Avvocato, purtroppo, non c’è più ma lo stile Juve, grazie a Dio, è rimasto e Allegri ne è un simbolo nonché uno dei migliori interpreti.

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