Nel periodo più buio e travagliato della Catalogna, con un referendum devastante che si staglia all’orizzonte e mette a repentaglio l’avvenire della Spagna e dell’Europa, ci concediamo una piccola pausa per celebrare il sessantesimo anniversario del magnifico Camp Nou, lo stadio del Barcellona inaugurato il 24 settembre 1957 e che, dunque, compie sessant’anni.
E se il Barcellona è, per i suoi tifosi e per la città, più di un club, non c’è dubbio che il suo stadio sia molto più di un semplice impianto sportivo: per la maestosità delle sue tribune, per l’imponenza e l’eleganza della sua costruzione e per il fatto di essere un autentico tempio dello sport, della cultura e della bellezza, un luogo dove è gradevole stare e che incute agli avversari forse ancora più timore di quanto non ne mettano i pur formidabili alfieri in maglia blaugrana.
Sessant’anni di gioie e di trionfi, di gol spettacolari, di giocate incredibili, di fuoriclasse unici e di magie che hanno rivoluzionato la storia del calcio; sessant’anni di passione e di poesia; sessant’anni in cui il santuario dell’orgoglio barcellonese ha avuto anche un’importante funzione politica, essendo l’unico posto in cui fosse possibile parlare il catalano, bandito dal franchismo, e oggi uno dei centri nevralgici della rivolta anti-spagnola della Catalogna; sessant’anni in cui un popolo ha trovato lì le proprie ragioni, i propri riferimenti e la forza di innalzare la propria voce e far presenti le proprie rivendicazioni; sessant’anni che cadono, come detto, in uno dei momenti peggiori della storia della città e della regione, fra incertezza, paura e pericolosi venti secessionisti che rischiano di mettere a repentaglio l’avvenire di un’intera comunità e anche di questo suo simbolo ineguagliabile.
Sessant’anni e un compleanno agrodolce, pertanto, ma ciò non toglie nulla alla meraviglia di una collettività che ogni volta, all’interno di quell’impianto, assapora la felicita di essere se stessa.