Via Tibaldi, 17. Occhetto e la botta della Bolognina

I Caaf sono intasati di persone che presentano il 730 e i moduli per l’Imu. I Centri per l’impiego staccano nuovi certificati di disoccupazione. Le aziende continuano ad indebitarsi per non chiudere. Io sono più di là che di qua. Prossimo alla cassaintegrazione. I miei eroi nel gioco dell’intrattenimento collettivo hanno sfoderato il nuovo tormentone dell’estate: “Presidenzialismo sì, presidenzialismo no”. Noi del Pd come al solito abbiamo dato qualche punto di vantaggio ai nostri avversari-alleati. Loro forti dei loro leader, noi divisi, ma ben disposti ad accettare qualsiasi compromesso. Non ne posso più.

Scendo al bar, c’è Tonino che mi aspetta. Per lui sono solo sceneggiate:
“Fijo mio, lasciali cantà che alla fine nun fanno un cazzo. Se vuoi cambià le cose continua a ragionà a come è possibile che se semo ridotti così male”.
Eh, come? Berlusconi, Grillo e…
Domando a Tonino che ne pensa del presidenzialismo.
“C’avemo na cosa, la Costituzione, ma che la dovemo cambià a fa? Er problema nun ce lo risolve ‘na persona, ce lo po’ risolve solo un partito. Ma un partito vero, non un partito azienda”.
“Ma il Pd è un partito vero?”
“Ma ‘ndo cazzo vivi? Il Pd è ‘na costruzione bella, storica, ma nun è più ‘na casa. E’ n’albergo pieno de correnti. Chiuso da ‘na vita alla gente come noi”.
Io sono stato tesserato fino a poco fa, ma Tonino? Lo chiamavano “Segretario”. Anche lui, dopo venti anni di militanza riconsegnò la tessera.
“Tonì, te perché hai lasciato il Pci?”.
“Non so io ad avè lasciato il partito, è lui che se n’è annato er 12 novembre 1989”.
 E’ il giorno della svolta della Bolognina.
“Erano quattro anni che se chiacchierava. Che Repubblica, er giornale che mò te piace tanto, intuzzava er partito co’ strategie assurde pe’ recuperà quarche voto. Volevano che se cambiasse er nome, che ce rifacessimo er trucco. Lo volevano fa’ chiamà Partito Democratico dei Lavoratori. Picconavano un muro, un muro fatto de’ persone, sognatori e comunisti, che niente c’avevano a che fa coi cazzi sovietici. Picconavano, ma mai pensavo potessero distruggelo. Fatto sta che quer giorno me sò coricato comunista me sò risvejato mezzo socialdemocratico”.
Achille Occhetto, segretario del Pci, aveva di fronte dei partigiani, era a Navile per celebrare il quarantacinquesimo anno dalla battaglia della Bolognina.
Tonino si infervora.
“Un furmine a ciel sereno. Un furmine bello ammascherato. L’ha presa larga. J’ha detto che erano come i veterani sovietici, c’avevano vinto ‘na battaja, ma che ora se nun la volevano perdé dovevano smetté de conservalla, dovevano aprisse a grandi cambiamenti. Hai capito? A chi ha fatto la resitenza j’ha detto che dovevano aprisse ar cambiamento! Prima ce ha spiazzato, poi avemo realizzato. Alla domanda dei giornalisti su cosa facevano presagì le sue parole, lui rispose: lasciano presagire tutto!”.
“E voi come l’avete presa?”
“Se semo incazzati, semo andati a protestà sotto Botteghe Oscure. C’erano sottijezze che giravano nell’aria, nun se trattava solo der nome. Se trattava dell’identità. Della storia. Tre giorni prima della Bolognina era caduto er muro di Berlino. Le immagini avevano scioccato tutto er mondo. Era finita n’epoca. Era finito n’impero. Ma i militanti d’allora nun erano fessacchiotti, c’avevano le palle. Noi eravamo comunisti in modo diverso e qua c’aveva aiutato Enrico… Avevamo sviluppato ‘na coscienza differente dall’Urss. Eravamo pe’ n comunismo europeo, conoscevamo e riconoscevamo l’errori e le schifezze staliniste. C’avevamo ‘na storia italiana, ‘na grande storia sulle spalle. L’antifascismo, Gramsci, la scrittura della Costituzione, Togliatti e poi Enrico, che d’esse stato antidemocratico nun se po’ proprio dì. Protestavamo pe’ questo, perché nun c’avevamo nulla de cui pentisse. Nun c’avevamo niente da nasconne e se ce la volevano venne come un modo per recuperà dei voti, noi sapevamo che er rischio nun valeva correlo. Perché se stavamo a venné. Mejo esse minoranza che n’amministratore dello Stato come l’artri. Nun se trattava de sceje tra Renzi e Bersani, se trattava de sceje tra comunismo e quarcosa che cor comunismo nun c’aveva niente a che vedé. Noi eravamo compagni, vedevamo rosso e nun volevamo vedé arancione, rosa o rosso chiaro”.
Penso che finalmente ho trovato il punto. Il punto di non ritorno.
“Tonì, ma se eravate così forti, perché poi il nome l’hanno cambiato?”
“Er dibattito è durato più d’un anno, poi il 3 febbraio 1991 è stato sciolto il Pci. Avemo perso. Tutto qua”.
“E no, Tonì. Tutto qua non mi basta. Se oggi io mi trovo in questa situazione è colpa vostra”.
“A ragazzì, porta rispetto. Io nun c’entro un cazzo. Me sò fatto da parte e in sezione nun ce so più annato. Ma prima c’ho provato. Me so battuto. E’ corpa loro. Dei dirigenti. Nun c’hanno ascortato. E’ stata la più grande spaccatura tra base e partito che mai s’era vista prima ner Paese. Ok, m’hanno fregato, ma te? Te sei svejato in tempo! Lo sai chi era a favore der suicidio?”
“Occhetto!”.
“Occhetto un cazzo! Lui era era er leader, come lo chiami te… Ma me sembra che ‘na vorta che s’è fatto da parte nun è cambiato molto. Guarda oggi come se semo ridotti! Sei sicuro che la politica è n’omo solo al comando? Apri il cervello, guardate attorno. C’erano du fronti che appoggiavano la svorta. Uno era l’ala de destra, l’artro era composto da ‘na parte de quelli che se dicevano movimentisti, pe’ me mezzimovimentisti. Quelli de sinistra spinta, invece erano tutti contrari. Molto contrari. Occhetto era mezzomovimentista, c’aveva l’illusione che er cambiamento portasse a ‘na svolta. Verso sinistra, diceva lui. Come? Nun se sa. Nel 1983 il Psi aveva conquistato la Presidenza del Consiglio. Ce aveva rosicchiato un sacco de voti e le tessere erano sempre de meno. Achille pensava de recuperà tutto. De fa tredici ar totocalcio. Voleva fa abbassà la testa a Bettino, attirà i voti de chi se cagava in mano de’n nome così impegnativo e riuscì ad annà finalmente ar governo. Voleva ammodernà er partito, tojese de dosso la faccia der cattivo. Toje’ armi a chi ce raccontava come magnaragazzini, sfasciafamije, dittatori. Ma è ‘na storia vecchia. Pensa che pure adesso Berlusconi dice all’italiani de sta attenti a noi. Come se ce fossero ancora compagni pronti a lottà contro il capitale. Co’ Achille nun c’era Patroclo, ma c’erano l’amichetti tua. Er giovane riccioluto Baffetto, D’Alema, er sempre magro Fassino, i gemelli der gol, i pompieri dell’ala più estremista, e un Veltroni con gli occhialoni in radica, che tanto andavano tra i militanti che se dicevano intellettuali. Poi c’erano quelli de destra, tra cui Napolitano, che erano sempre comunisti, ma che pé me erano già filoberlusconiani. Loro sognavano la fusione col Psi nell’Internazionale socialista. Aspé, aspé, quanno se costituì il Pds, er Partito Democratico della Sinistra, Achille fu rifatto segretario, ma lo sai chi fu eletto Presidente? Er compagno Rodotà”.
 
Io ero alle medie, è passato del tempo. Tanto tempo. Capisco ora perché mi dico comunista, ma mi chiamano piddino.

Continua con “La Cosa: base vs dirigenza” e “Le diaspore a sinistra”.

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