Le diaspore a sinistra. Dal Pci al Pd si sono persi tanti pezzi

Dicono che la sinistra sia un elastico. Quando il partito principale si avvicna al centro, gli estremisti che si presentano soli alle urne raccolgono più voti. E lui, che si chiami Pci, Pds o Pd perde dei voti. Perde le elezioni. Ma non è così semplice.

Al bar ci sono tanti tavolini. Tante persone sono sole.
Tonino mi spiega la sua teoria:
“C’è Paride che je rode er culo, c’è Antonio che abita accanto a Paride, ma nun lo pò vedé. C’è la signora Costanza, che se vergogna de scambià du’ parole. ‘Nsomma, metti caso che ognuno se coalizzasse cor vicino, che facessimo un megatavolo. Sarebbe tutta n’artra storia”.
“Ma perché no?”
“Perché io ar tavolo coi fasci nun me ce metto”.
“Ma se facciamo una cosa tra di noi? Noi di sinistra…”
“Ma chi ce lo mette er tavolo? Er problema è che chi dirigeva l’osteria nun c’ha più clienti de sinistra. L’ha persi tutti. Nell’anni. E nun ha provato a recuperalli pe’ tanto, troppo tempo. Ecco perché il Pd se l’è apparecchiata co’ Monti e co’ Berlusconi. Quelli pur de magnà se siedono co’ chiunque”.
La storia della sinistra italiana è una storia di strappi, dolorosi e irricuciti. Di strappi che segnano la coperta, che vedono questa non scaldare più come una volta e pezzi di stoffa volare via, fino a disperdersi non si sa dove. Morale della favola, il target dei soggetti politici resta al freddo, si congela o guarda altrove.
“C’avemo ‘na storia biblica, nasciamo da ‘na costola del Psi. Semo l’Eva della politica italiana, rivoluzionari. Poi però se semo traditi. Piano piano semo diventati meno donne e meno rivoluzionari. Avemo smesso de magnasse le mele e se semo piazzati ar ristorante”.
Dall’adesione ai 21 punti della Terza Internazionale usciva un partito contro il capitale, fatto di donne, uomini, lavoratori e proletari. Un partito che faceva paura, così dopo mezzo secolo abbiamo tentato lo scacco. Tonino presenta il primo conto.
“Cò Enrico se semo aperti, ma se semo scollati. Ner senso che c’hanno salutato in tanti e sò tutti usciti, sbattendo la porta. Quella de sinistra. Quella più usata”.
Tonino mi ricorda che anche il Manifesto, da poco diventato quotidiano, nel 1972 si presenta come Partito politico.
“Certe cose fanno male, è normale che quarcuno se ne va. Pure l’opinione pubblica era spaccata. E’ spaccata! Pensa ad adesso. Chi la vò cotta e chi la vò cruda! C’avemo più giornali de sinistra che elettori. E tutti dicono cose belle, giuste. Solo che se magnano tra de loro”.

Se già negli anni sessanta erano sorte esperienze extraparlamentari, quali il Partito Comunista d’Italia marxista-leninista, Potere Operaio, Avanguardia Operaia, Lotta Comunista e ovviamente il Movimento Studentesco, negli anni settanta si consumò una lacerazione che con maggiore evidenza rappresenta la spaccatura tra partito e parti di società.

Tonino vede una responsabilità del PCI anche sul clima di quegli anni:
“Certe lotte se dovevano fa in parlamento, con le idee, con le parole. No con le pistole. Un partito de sinistra parla con la gente. Media. La rappresenta. Quanno se chiudono dei discorsi, se perde di credibilità. Gli estremisti prima de fa casino sò innamorati che sò stati cornificati. Niente me impedisce de condannanne quarcuno, perché ha esagerato. Ha ammazzato le persone. Però è pure vero, e de questo nun se ne parla mai, che è stato er partito a fa la prima mossa. A rimagnasse le sue parole e a fasse trovà pronto pé vendese ar primo stronzo che passa”.

Il movimento del ’77 era fatto da studenti universitari, menti fervide appartenenti stavolta in larga parte al proletariato – dopo il ’68 si era sviluppato il fenomeno dell’Università di massa -. Questo assieme a Autonomia operaia furono i principali soggetti che si schierarono contro Enrico.
Tonino mi spiega.
“Gli studenti erano vivi, pacifici, gli operai incazzati. Autonomia operaia lo diceva chiaramente, era pe’ la lotta armata pe’ le strade. La cacciata de Lama dall’Università ha significato la rottura coi sindacati, la cacciata der Pci dalle fabbriche. Un lutto nazionale, che cazzo! Doveva esse recuperato”.
“Che è successo quando è finito il movimento? I giovani impegnati che hanno fatto?”
“Molti hanno aderito a Lotta Continua, che diceva de non stà né co’ lo Stato, né con le BR, artri se sò rincojoniti co’ le filosofie orientali. Arcuni hanno seguito la causa ambientalista. Poi c’è chi se n’è fregato e s’è reciclato nel Psi. C’è pure chi s’è aggrappato a quer che era rimasto de quell’esperienza, a Democrazia Proletaria”.
“Sì, va bene, ma come può essere possibile che col tempo tutte queste persone non siano riuscite ad influenzare il Pci?”
“Sò storie strane, da ‘na parte, a dilla tutta, molti compagni ce sò annati sotto co’ le droghe. E niente me toje dalla testa che l’eroina l’hanno messa sur mercato proprio pé stroncacce. Dall’artra, lo strappo a modo suo Enrico l’aveva ricucito. Un sacrificio la prima vorta passa, ma poi…”
 
La sinistra che guarda a destra semina soprattutto astensione e sfiducia nelle istituzioni.
I primi anni ottanta e l’esplosione dei Centri sociali. Antagonisti, giovani e indipendenti hanno retto l’urto, modificandosi, fino ad oggi.

Stavolta è Tonino a chiedermi delucidazioni.
“Ma voi che fate chiusi là dentro? Ve fate le cannette, ve impasticcate, giocate a fa er copia incolla dei sessantottini?”.
“I centri sociali sono oggi l’unica realtà creativa nel Paese. Se non ci fossero loro ad organizzare le manifestazioni, i presidi, non ci potremmo più dire un Paese libero”.
“Ma come? Te lamenti sempre che er sabato te chiedono dieci euri pe’ l’ingresso…”
“Lascia perdere Tonino, ci sono problemi di gestione. Alcuni sembrano dei locali, sono anche snob, ma quelli veri fanno grandi cose”.
Penso al movimento No-Global, alle Tute Bianche, al G8. Ma anche alla cultura underground, alla musica raggae, al rap, all’hip-hop. Penso ai murales, alle lotte per la casa e alle azioni di denuncia contro gli sfruttamenti delle minoranze. Molti centri tengono ancora in vita un quartiere, una generazione.  
Allora Tonino mi domanda:
“Perché sei l’unico che frequenta ‘sti posti e vota Pd?”
“C’è crisi. C’è tanta crisi!”
La risposta è sempre la stessa, perché abbiamo perso tanti pezzi. C’è stata la Svolta della Bolognina e la costituzione di Rifondazione Comunista. Poi anche questa ha iniziato a perdere altri pezzi. Tra i più autorevoli quelli del Partito dei Comunisti Italiani, del Partito Comunista dei Lavoratori, di Sinistra Critica e del Movimento per la Sinistra, l’attuale Sinistra Ecologia e Libertà.

Il passaggio da sistema proporzionale a maggioritario ha messo in crisi gran parte di queste realtà. E solo con l’alleanza Vendola-Bersani è stata garantita la presenza di qualche “estremista” in Parlamento. Altre forze si erano unite insieme ad Ingroia in Rivoluzione Civile.
Tonino ne prende spunto per tirare le somme di un secolo di diaspore. Tutte a sinistra.
“Ingroia è stato er massimo. ‘Na persona pulita! Se s’alleava co’ Bersani forse avevamo vinto le elezioni. Ma quer partito era la sintesi de che significa perde voti a casa nostra. Noi nun semo stupidi, lo capimo che nun c’ha senso votà chi ha già perso in partenza. Eppure se metti insieme un po’ de partiti e raccatti pure Di Pietro, noi nun te votamo. Nun c’è n’equazione, scontenti uguale voti pe’n nuovo contenitore. C’è un popolo che se po’ chiama arancione, viola o rosso. Quer popolo va ascoltato e deve esse’ rappresentato da ‘na forza vera. Sti cazzi de vince le elezioni. Che poi? N’avessimo vinte tante!”

Guardare a sinistra oggi è un tentativo estremo, ma necessario. Come in una partita di calcio, se stai perdendo, all’ultimo cosa fai? Metti un difensore o metti un attaccante? Imiti la squadra avversaria o fai gruppo appellandoti al cuore granata?  

Ultimo giro di rosso per Tonino, ultimo sorso di birra per me.
“Vecchio, alla sinistra che fu”.
“E no. La sinistra nun è solo quella che se siede da ‘na parte invece che da n’artra in Parlamento. La sinistra c’è sempre. Pure oggi. Semo la maggioranza. Poveracci, disoccupati, lavoratori co’ no stipendio basso e co’ no stipendio medio. Migranti, vecchi, giovani, emarginati. Emarginate. Semo er popolo. Basta solo capillo. Se nun lo capiscono loro, l’amici tua, quelli der Pd. Famolo noi! Nun po’ mica esse che gli operai hanno votato Lega e mò continuano a votà Beppe Grillo!”

Finalmente un po’ di euforia. Penso che tornerò a fare politica, non so come, con chi, se nel Pd. Brindo con Tonino e immagino di farlo col resto del locale. Oltre gli individualismi. Dietro un unico tavolo. Fatto di compagni.

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