Sana e robusta ostinazione. Il lungo cammino dei disoccupati Alitalia

Oggi un presidio di disoccupati Alitalia è stato indetto sotto il palazzo del Ministro del Lavoro in via Veneto a Roma per chiedere ancora una volta il lavoro. Niente di nuovo.

Non è la prima volta che ci raccogliamo sotto le medesime finestre, e tutte le volte lo abbiamo fatto non solo per protestare contro la nostra condizione ma abbiamo anche presentato  con proposte e idee che avrebbero potuto, non dico risolvere, ma almeno iniziare a risolvere il problema di migliaia di disoccupati, espulsi da un settore che continua inesorabilmente a crescere.

Ma tutte le volte, il grido di dolore è rimasto inascoltato da parte delle principali istituzioni, forse perché eravamo (e siamo) tuttora visti come privilegiati, data l’integrazione al reddito che disponiamo per legge, ma soprattutto perché il principale sport da queste parti è stato per molti anni quello di non disturbare il manovratore, in questo caso la fu cordata patriottica di Colaninno & soci,  signori che hanno dilapidato in cinque anni più soldi di quanto l’Alitalia pubblica avesse fatto in sessant’anni di storia gloriosa.

Allora qual’è la molla che ci spinge ancora oggi  a radunarsi sotto la finestra del Ministero del Lavoro e a gridare una volta di più la nostra protesta?

L’ostinazione è qualcosa di meno nobile della tenacia e meno prode della caparbietà senza avere i connotati negativi della cocciutaggine. L’ostinazione è la molla che spinge ancora dopo tanti anni questi lavoratori a non dimenticare che quanto accaduto a loro non è solo stata una disgrazia industriale ma anche una delle Caporetto sindacali e sociali di questo paese. 

L’ostinazione è la spinta che da la forza di ricordare che siamo stati lasciati da soli, in primis dalla politica e dalle Istituzioni, ma anche dal fragoroso collasso della solidarietà del movimento dei lavoratori che non si è accorto come tutto questo fosse solo l’esperimento per la sconfitta che lo ha travolto dopo di noi.

L’ostinazione è il non arrendersi a dire ancora una volta che tutto questo è stato terribilmente ingiusto, un insulto alle famiglie e alla collettività oltre che un dispendio di risorse pubbliche a favore delle tasche di pochi, dato che mentre si mantenevano migliaia di lavoratori in cigs o mobilità si assumevano migliaia di precari negli stessi luoghi di lavoro.

Oggi, infatti insieme ai reduci del 2008 ci saranno anche altre lavoratori, una parte delle migliaia di altri espulsi dalla medesima azienda nella seconda campagna di vendita del medesimo plesso aziendale di Alitalia agli arabi di Etihad.

In fondo Alitalia è stata un raro esempio di collasso occupazionale legato alle consonanti dell’acronimo: da Alitalia Lai (linee Aeree Italiane fino al 2008) a Alitalia Sai (Società Aerea Italiana nata nel 2015) passando per Alitalia Cai (Compagnia Aerea Italiana dal 2009 al 2014), tre consonanti diverse per la stessa compagnia con l’egregio risultato di poco meno di 8000 posti di lavoro persi in 5 anni.

Il fatto che nuovi lavoratori ci affianchino nel nostro cammino non ci rallegra, anzi tutt’altro, ma ci fa sentire ancora più ostinati nel gridare come tutto questo sia sbagliato e sia tutto da rifare perché avevamo ragione nel gridarlo in tutti questi anni.

Infatti qualcosa sembra muoversi negli ultimi tempi: l’imbarazzo della seconda tonnara occupazionale in pochi anni in Alitalia, nonché verso la durezza con cui Etihad ha dettato severissimi e invalicabili criteri di espulsione, ha spinto il Governo tramite la regione Lazio a lanciare un primo contratto di ricollocazione destinato proprio ai disoccupati Alitalia.

Aprire la riflessione su cosa sia il contratto di ricollocazione è qualcosa che impegnerebbe molto tempo. Posso sintetizzare che è un tentativo di avviare una politica attiva per il lavoro basato però sui frutti avvelenati del nuovo corso renziano e del suo “Jobs Act. 

In parole povere, si tratta di fondi pubblici che vengono messi a disposizione di agenzie interinali e aziende se assumono o fanno assumere persone disoccupate.

Un lavoro che, secondo il mio modesto parere, dovrebbe spettare al Governo e alle istituzioni che disporrebbero anche di competenze e risorse umane per poterlo fare; basterebbe, appunto, volerlo invece che ingrassare il mercato delle multinazionali private dell’interinale.

Ma noi vogliamo comunque vedere il lato positivo: per la prima volta si prende atto che c’è un problema occupazionale enorme, che ci vuole un programma per affrontarlo e che si prova a fare un primo censimento del personale espulso da Alitalia, per il momento ridotto a quelli del 2014, e da altre realtà del sedime aeroportuale.

Quello che chiediamo oggi è il fatto che lo schema di contratto di ricollocazione proposto dalla Regione Lazio non solo necessita di robuste correzioni per essere almeno allargato al personale espulso nel 2008, ma che avrà poche possibilità di riuscita se il Governo e la Regione non imporranno le chiamate dirette alle aziende del sedime aeroportuale di Fiumicino, Alitalia Sai e Adr in testa. Tale possibilità è suffragata dal fatto che tutti gli indicatori segnalano un trend di crescita del settore, finora coperto da migliaia di precari assunti in barba al buon senso e alle regole sociali.

La fuoriuscita dal girone infernale dei disoccupati “privilegiati” al rientro nel posto di lavoro è la scommessa che deve essere finalmente vinta da tutti noi. Il lungo cammino degli espulsi Alitalia continua, nonostante tutto. Non ci siamo ancora arresi e continuiamo imperterriti a resistere in tempi difficili.

Non abbiamo accettato e continuiamo a non adeguarci. Per fare questo abbiamo dovuto mettere in conto una difficile resistenza, per attuare la quale occorre, appunto, essere dotati di sana e robusta ostinazione.

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