Vietnam. A Tam Dao dove gli orsi della luna tornano a vivere. Prima puntata

Foto di Dario Pignatelli

Foto di Dario Pignatelli

TAM DAO (VIETNAM) – Quando la macchina si inerpica fino al cancello di Tam Dao, qualche centinaio di chilometri da Hanoi, il tempo sembra fermarsi.

Le nuvole scendono a circondarti e tutto appare sospeso, come in un mondo parallelo. I rumori si attutiscono e la pioggia tamburella lieve, senza dare fastidio. Le colline, tutte intorno, sono verdi. Ma il verde è pronto ad accendersi di smeraldo, quando le gocce colano dal cielo velato, e tutto si ricopre di un’umidità che profuma di bagnato.  

È il Vietnam. Ma è un Vietnam lontano anni luce dalle vele arancioni che solcano la Baia di Halong o da quello delle gallerie scavate dai Vietcong per sfuggire al napalm degli americani. È il Vietnam della natura e dei silenzi. Delle campagne percorse dalle biciclette e dai cappelli a cono. Dalle montagne che nascono dal mare, ancora abitate da popolazioni antiche e misteriose. Il Vietnam degli animali, non abbastanza protetti e difesi da tradizioni e usi millenari che mescolati a logiche di guadagno e diritti misconosciuti, si trasformano in abusi e violenze, insopportabili.

Gli Orsi della Luna, maestosi e fieri, imprigionati in gabbie minuscole, resi impotenti dai sedativi, violentati dai corsetti di ferro che bloccano le cannule infilate nei loro addomi fino alla cistifellea per far gocciolare quella bile considerata preziosa per il mercato della medicina tradizionale ma anche per la produzione di banalissimi shampoo, lozioni per capelli e sciroppi digestivi, sono i “testimonial” d’eccezione degli abusi e delle violenze che, insopportabilmente, continuano ad essere perpetrati nel dolce Vietnam e nella vicina Cina ai danni degli animali.

A Tam Dao, riserva di dodici ettari nel cuore del Vietnam del nord dove dal 2010 l’associazione Animals Asia accoglie, cura e protegge circa 500 Orsi della Luna dopo averli letteralmente strappati dalle gabbie in cui erano segregati a volte per decine e decine di anni, questi esemplari di rara bellezza che raggiungono anche i 200 chilogrammi e sfiorano i due metri di altezza, ritrovano la loro dignità e provano a vivere la loro “seconda” vita. 

«Questo vorrei che fosse l’anno in cui la crudeltà delle fattorie della bile diventasse chiara in tutto il mondo – spiega Jill Robinson fondatrice e presidente di Animals Asia – Sono stati fatti tanti passi in avanti per fermare il traffico di avorio e corno di rinoceronte, e non capisco perché gli orsi non possano avere lo stesso livello di attenzione. Dobbiamo forse aspettare quando il numero degli orsi non diventerà esiguo per reagire, quando invece un atteggiamento meno rinunciatario aiuterebbe a salvare questa specie in via d’estinzione a conquistare un futuro senza più sfruttamento e paura? Questi orsi se lo meritano davvero».

Jill Robinson si occupa di Orsi della Luna da oltre quindici anni. Quando entrò per la prima volta una fattoria della bile, allevamenti intensivi di orsi tibetani molto diffusi in Cina dove questi splendidi animali vengono imprigionati per poter quotidianamente estrarre loro la bile prodotta dalla cistifellea, l’impatto emotivo fu devastante: «Mi avvicinai ad una gabbia. Al suo interno c’era un orso, completamente impedito nei movimenti. Poteva stare solo sdraiato. Quando i suoi occhi si posarono su di me sembrava rassegnato e triste. Ma non aggressivo. Anzi, in un gesto di una tenerezza assoluta, allungò fuori dalla gabbia la sua zampa e sfiorò la mia mano, a cercare un contatto fisico. Non lo rividi mai più, ma quando andai via da quella fattoria decisi che avrei dedicato il miei tempo a salvare gli orsi che si trovavano nella sua stessa condizione». 

Da allora, era il 1999, sono nate due grandi e bellissime riserve di accoglienza per gli orsi salvati dal commercio della bile, il cui principio attivo (necessario per la produzione di molti prodotti commercializzati come “miracolosi”) è nel frattempo stato prodotto artificialmente, rendendo ancora più inutile e assurda la pratica dell’estrazione da organi di  orsi vivi e senzienti, costretti tutta la vita in gabbie anguste che impediscono loro anche i più elementari movimenti, torturati per decenni attraverso pratiche di estrazione doloro sissime che producono infezioni e tumori, spesso portati alla pazzia dalle condizioni di detenzione.

Una riserva, la prima, si trova in Cina, a Cenghdu. La seconda in Vietnam a Tam Dao. Da allora, con enormi sforzi e tanta determinazione, sono centinaia gli orsi che sono stati strappati alla prigionia e riportati alla vita. Arrivano feriti, piagati, ammalati di tumori, le unghie e i denti strappati dai morsi contro le sbarre delle gabbie che li imprigionano e dove vengono segregati dopo essere stati catturati e strappati dal loro habitat naturale, spesso quando sono ancora cuccioli. Arrivano umiliati e feriti nello spirito e nella psiche, timorosi di adattarsi alla luce e alla compagnia, sorpresi dalla morbidezza dell’erba e dal gusto ricco della frutta e del miele. Li aspettano veterinari ed esperti, pronti a dargli una seconda chance. Ad offrirgli il tempo necessario per fargli riprendere il contatto con il mondo che hanno visto solo da dietro le sbarre. Conosceranno affetto e cure, la compagnia dei loro simili, i giochi appassionanti per la ricerca del cibo. Ritroveranno i ritmi naturali delle loro esistenze, scanditi da tuffi nelle acque dei piccoli laghetti e dalle arrampicate tra gli alberi. Riposeranno all’ombra e si bagneranno sotto la pioggia, come è giusto che sia. E moriranno in pace, quando il loro viaggio sarà stato completamente percorso, in libertà e con dignità. 

A  Tam Dao ormai son quasi cinquecento. Ed è proprio a Tam Dao che inizia il nostro viaggio alla scoperta degli Orsi della Luna e della loro “seconda” vita. Mentre Animals Asia non smette di combattere la sua battaglia per liberarne altri e altri ancora, dei circa 12 mila ancora in cattività, tra Cina e Vietnam: “Until the cruelty ends”, fino a quando la crudeltà non sarà finita. 

(FINE Prima puntata. Continua)

Foto di Dario Pignatelli

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