Bosnia: la salvezza per migliaia di randagi passa dagli italiani

L’Enpa in missione per strappare alla morte i cani del rifugio di Prijedor, soppressi ogni venerdì. Interviene anche l’ambasciatore italiano. La storia in un docu film

ROMA – In Bosnia, a vent’anni dalla fine della guerra, la situazione dei cani randagi è ormai emergenza nazionale. Quasi 30 mila quelli che si aggirano per tutto il paese, 8000 solo a Sarajevo. Una situazione che non accenna a migliorare perché, malgrado le leggi ci siano, non ci sono fondi per la sterilizzazione, l’unico modo per combattere concretamente l’emergenza.

E in molti casi la soppressione è l’unico metodo utilizzato per gestire una situazione ingestibile, come appunto accade a Prijedor, nella Krajina bosniaca. Ormai tristemente famosa per il suo canile lager: una struttura fatiscente ospitata nella discarica comunale dove i randagi, accalappiati anche su segnalazione di chi vuole liberarsene, vengono soppressi regolarmente. Ogni venerdì. 

L’Enpa, l’Ente nazionale protezione animali, ha raccolto la  richiesta di aiuto lanciata da alcuni animalisti bosniaci e, dal 17 al 19 novembre 2015, la sua Unità di Intervento si è organizzata per dare una mano. Un furgone con quintali di pet food, medicinali (introvabili sul luogo) e
materiali utili, è partito alla volta di Prijedor e Banja Luka. Da lì è tornato con una decina di randagi che ora hanno trovato la loro America in Italia, presso altrettante famiglie italiane. È stata la terza missione di Enpa, dopo quelle del 2013 e del 2014. «L’interesse di Enpa per la Bosnia, per i problemi degli animali, per le condizioni in cui operano i volontari, nasce nel 2013, anno in cui siamo stati raggiunti da un appello e come sempre abbiamo risposto – spiega la Presidente nazionale Enpa Onlus Carla Rocchi – Se pure in Italia ci sono situazioni difficili, quelle degli altri Paesi sono sicuramente peggiori. In Bosnia, in particolare, la situazione è complessa. Ci sono state nostre missioni che progressivamente hanno cercato di rincuorare i volontari, di portare aiuti concreti, di salvare gli animali e anche di aprire uno spazio con le istituzioni».

Il docu-film, Ina e gli altri, racconta questi giorni bosniaci. La voce appassionata di Massimo Wertmuller accompagna le immagini permettendo di scoprire un mondo disastrato che, a vent’anni dalla fine della guerra, non è ancora riuscito a ricomporre l’originaria armonia con i propri animali. Soprattutto con i cani, abbandonati ed affamati dai giorni più bui del conflitto. A Sarajevo, una capitale in pieno Rinascimento, quando scende la notte a branchi arrivano dalle colline per cercare il cibo tra l’immondizia. E sono tanti i cani che trovano rifugio tra le distese di lapidi bianche che contano i morti dell’assedio e colorano di bianco il profilo della città. Il docu film racconta la missione di Enpa e mostra le condizioni in cui vivono i cani randagi in Bosnia Erzegovina. In particolare nel canile di Prijedor, affamati fra l’immondizia, prima che arrivi il venerdì, il giorno della morte. 

«La Bosnia Erzegovina sta per presentare ufficialmente domanda di adesione all’Unione Europea – spiega il direttore di Enpa Michele Gualano – Per entrare a far parte della grande famiglia Ue deve adeguare normative e pratiche – anche sugli animali – agli standard comunitari». Anche per questo motivo la missione di supporto a Banja Luka e a Prijedor a favore delle associazioni Sapa u srcu – Zampa nel cuoree Prijedor Emergency, sotto la guida di Antonio Fascì, ha avuto il supporto dell’ambasciata italiana di Bosnia. 

«Oltre alla solidarietà e all’amicizia che ci legano alla Bosnia – spiega l’Ambasciatore Ruggero Corrias – l’obiettivo dell’Italia è quello di incoraggiare il Paese ad allinearsi, anche in questo settore, agli standard ed alle normative europee. L’Ambasciata è intervenuta in varie occasioni per sensibilizzare le autorità bosniache e per sostenere le iniziative di associazioni e privati cittadini italiani mobilitatisi per portare aiuto e assistenza e per promuovere l’attuazione di misure in grado di migliorare le condizioni di vita dei cani randagi in tutto il paese. La comunità internazionale, l’Italia in prima fila, ha in questo senso un importante ruolo di impulso: incoraggia le autorità bosniache a migliorare ed attuare in modo efficace e uniforme la normativa, a sostenere le strutture di ricovero, condurre campagne di sterilizzazione e condannare ogni violenza. L’Ambasciata interloquisce inoltre con le numerose associazioni e ong italiane che seguono con grande interesse e preoccupazione la situazione bosniaca. Nel caso dell’Enpa, l’Ambasciata ha facilitato i contatti con autorità, canili e partner locali per consentire all’Ente nel novembre scorso di portare in Bosnia forniture di cibo, medicinali e assistenza medica, trasferendo anche in Italia alcuni cani in gravi condizioni di salute». 

Ora Ina, uno dei randagi salvati da morte certa nel canile di Prijedor e che ha dato il nome al docu film, è arrivata in Italia per la sua seconda vita. Ma il film racconta anche, con le musiche degli Yo Yo Mundi, come continuano a vivere gli altri cani. Dal 2009, secondo i dati raccolti dall’organizzazione Dog Trust, sono stati soppressi 5400 animali. Ottocento soltanto nel 2015. Zoran Bucic, il direttore, sostiene che non ci sono abbastanza soldi e mezzi per costruire un nuovo rifugio ed è per questo che sopprimono i randagi. Ma sottolinea anche che «in Bosnia la situazione economica è grave e in molti hanno abbandonato i loro cani perché non riuscivano più a sfamarli». 

Il censimento di Dog Trust parla anche di 8.000 cani nella sola Sarajevo, anche se sottolinea che solo due anni prima ne erano stati contati 12.000. Il numero è diminuito, spiegano, grazie alle sterilizzazioni gratuite di cui si sono fatti carico  e grazie alle campagne di comunicazione che invitano i cittadini a sterilizzare i loro cani. «In Bosnia c’è obbligo di sterilizzazione ma mancano i fondi – aggiunge Sabrina Seric di Zampa nel cuore – è obbligatoria anche l’anagrafe canina ma è affidata ai veterinari privati che utilizzano registri cartacei. E i vertici delle municipalità si dicono pronti a collaborare ma non hanno fondi. Con la nostra associazione ci prendiamo cura di un centinaio di cani e di una cinquantina di gatti ogni mese, già da quattro – cinque anni. La maggior parte di ciò che facciamo lo dobbiamo alle associazioni italiane che sostengono il nostro lavoro. Negli ultimi quattro anni abbiamo salvato circa 2000 animali. La maggior parte di loro è stata adottata in Italia. Ora sono lì, e vivono come re e regine». 

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