Comunicazione d’impresa: tra “uno, nessuno e centomila”

Riscoprire Pirandello per capirci meglio e farci capire

Nella comunicazione d’impresa si parla spesso di strategia, reputazione, posizionamento, brand identity. Ma raramente ci si sofferma su un fattore che precede tutti gli altri: la percezione. Come ci vedono gli altri? Come vorremmo essere visti? E soprattutto: quanto coincide ciò che comunichiamo con ciò che gli altri realmente capiscono di noi?

È qui che Pirandello diventa sorprendentemente attuale.

La maschera come necessità comunicativa

Nel suo capolavoro del 1926 “Uno, nessuno e centomila“, il protagonista scopre che l’immagine che gli altri hanno di lui è diversa da ciò che lui crede di essere. Una frattura drammatica, ma illuminante: noi non siamo mai “uno”, ma l’insieme delle infinite interpretazioni che gli altri hanno di noi.

Nel mondo dell’impresa accade lo stesso. L’azienda può raccontarsi in un modo, ma il pubblico ne recepisce un altro.
E tra ciò che si vuole comunicare e ciò che arriva davvero c’è un passaggio critico: la relazione, umana prima ancora che professionale.

L’identità aziendale è un dialogo, non un monologo

La comunicazione d’impresa non è un atto unidirezionale, né un manifesto di intenti calato dall’alto. È un dialogo continuo, mutevole, vivo — esattamente come l’identità del protagonista pirandelliano, che cambia in base allo sguardo di chi lo incontra.

Un’azienda deve accettare questo principio; non esiste infatti un’identità rigida, ma una percezione in evoluzione formata da clienti, partner, dipendenti, comunità.

Il compito della comunicazione non è imporre una maschera, ma renderla coerente con ciò che l’azienda è davvero. E soprattutto allinearla a ciò che gli altri comprendono.

Comprendere ed essere compresi

La comprensione reciproca è il vero cuore della comunicazione efficace. Pirandello ci insegna che spesso parliamo un linguaggio che gli altri interpretano a modo loro. Nel mondo corporate, questo si traduce in fraintendimenti, messaggi inefficaci, brand incoerenti.

Per questo ogni impresa deve lavorare su tre livelli. Ovvero sulla consapevolezza interna, Chi siamo? Cosa rappresentiamo? Perché facciamo quello che facciamo? Sulla coerenza del messaggio, ovvero dire ciò che si pensa, fare ciò che si dice, mostrare ciò che si fa. E sull’ascolto attivo, cioè capire come il pubblico interpreta il messaggio e come quell’interpretazione modifica la nostra identità percepita. Solo in questo triangolo si crea comunicazione autentica.

    Relazioni umane: l’essenza che dà senso all’impresa

    Pirandello non parla di marketing, ma parla di noi. Di come ci frantumiamo nelle interpretazioni altrui, di come cerchiamo una forma che ci rappresenti, di come la relazione sia l’unico spazio dove possiamo davvero incontrarci.

    Nell’impresa, questo significa che la comunicazione è un atto umano, non tecnico, che ogni messaggio deve generare fiducia, non solo attenzione e che ogni relazione costruisce una parte dell’identità aziendale.

    Insomma la vera comunicazione d’impresa nasce quando le persone non si sentono più pubblico, ma interlocutori. Quando riconoscono nell’azienda non una maschera, ma un carattere autentico. Quando si sentono viste, comprese, considerate.

    Dalla consapevolezza alla trasformazione

    Per migliorare la comunicazione verso gli altri — come persone e come imprese — dobbiamo partire da noi stessi.
    Accettare l’idea, pirandelliana ma incredibilmente moderna, che siamo “centomila” perché viviamo di relazioni.
    E che comunicare non significa recitare una parte, ma costruire un ponte. La consapevolezza nasce proprio qui, ovvero
    nella capacità di riconoscere che la nostra immagine non ci appartiene interamente, ma prende forma nell’altro.

    L’impresa che comprende questo diventa più empatica, più efficace, più credibile. E soprattutto più umana.

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