Senza lavoro e senza documenti. I migranti ai tempi della crisi economica

ROMA – “Non c’è lavoro, non c’è soldi. Che fare?” Lo spread balla dai 400 ai 500, le fabbriche chiudono, gli italiani sono cassaintegrati, disoccupati, precari o sottopagati, ma gli stranieri? “L’Italia è bella, ma c’è crisi”.

Iniziano a fare le valige, ad avvisare i loro parenti, per interrompere l’esodo o per fargli cambiare la rotta. Alcuni di loro sono in Italia da poco tempo, cercano di passare la frontiera, mirano alla Francia se centro-africani o magrebini, alla Germania se afgani, solo gli egiziani e i bengalesi continuano il loro trend migratorio. Felix viene dalla Costa D’Avorio: “E’ stato difficile spiegare a mio fratello cosa sta succedendo in Italia.

Gli avevo nascosto i miei problemi e lui aveva pensato che io stessi avendo successo. Quando gli ho detto che ancora non avevo i documenti, che continuo a vivere nei Centri di Accoglienza e che non trovo lavoro da nessuna parte, lui ha creduto che io stessi cercando di chiudere con la mia famiglia, che avessi guadagnato tanti soldi e che li volessi tenere tutti per me. Mi ha dato dell’americano”. Lavoro, da obbiettivo principe a miraggio. Molti ragazzi oramai sono in Italia da un anno e prima di mollare tutto per ricominciare l’avventura da qualche altra parte vogliono sapere che fine farà la loro richiesta d’asilo. Duecento giorni, a volte trecento, a volte di più, giorni che oramai li hanno fatti italiani. Si sono appassionati alle nostre beghe politiche alla nostra storia economica. La loro crisi è la nostra crisi. Hanno il cedolino, ma non possono lavorare.

A dire il governo dei nostri tecnici nell’ambito del decreto “salva Italia”, l’art. 40, comma 3, del Decreto-Legge 6 dicembre 2011, n. 201, ha trasformato in norma operativa di legge la circolare del 2006 (Ministro dell’Interno Giuliano Amato), con la quale si era provato a dar valore legale al cedolino, documento rilasciato dalle questure nelle more del rinnovo di permesso di soggiorno. Il decreto di fatto ora recita “in attesa del rilascio o del rinnovo del permesso di soggiorno il lavoratore straniero può legittimamente soggiornare nel territorio dello Stato e svolgere temporaneamente l’attività lavorativa”. Questo vale “fino ad eventuale comunicazione dell’Autorità di pubblica sicurezza, da notificare anche al datore di lavoro, con l’indicazione dell’esistenza dei motivi ostativi al rilascio o al rinnovo del permesso di soggiorno”. Eppure questa legge viene letta ed interpretata in diversi modi.
Alcuni Centri per l’impiego non permettono nemmeno ai richiedenti di iscriversi nelle loro liste. Le amministrazioni affermano che per i primi sei mesi dal rilascio del cedolino il datore di lavoro può proporre al migrante dei tirocini formativi, solo dal sesto mese può proporgli dei contratti.

Nella realtà i datori di lavoro non hanno recepito la nuova norma, con difficoltà aprono onestamente le porte delle loro aziende a questi ragazzi, alcuni hanno paura di non poter fare le cose del tutto in regola, altri fino a poco tempo fa preferivano instaurare con loro dei rapporti nell’illegalità. Fino a poco tempo fa perché ora chi dà lavoro nero ai sans papiers, se denunciato se la rischia grossa – a detta della stessa equipe di Monti-. Il 6 luglio scorso un decreto approvato su proposta del ministro per gli Affari europei e del ministro del Lavoro, ha recepito finalmente la normativa comunitaria in materia: la direttiva europea (2009/52/CE) “Norme minime relative a sanzioni e a provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare”. Questo decreto afferma che se i lavoratori in nero denunciassero il loro sfruttatore sarebbero premiati con la protezione umanitaria. “Io non posso tradire nessuno. Gli italiani non vogliono fare il lavoro che spacca la schiena, noi sì. Che male c’è a raccogliere pomodori, a lavare macchine, a trasportare calcinacci?

 

Se qualche padrone mi darà questa possibilità io lo ringrazierò per tutta la vita. Anche se dovrò lavorare in nero. Non scherziamo, per lo Stato italiano io dovrei dormire per strada, non lavorare, non mangiare. Dovrei solo aspettare”. Ed è così, i Centri per adulti sono pieni, nelle grandi città alcuni ragazzi vengono dislocati in dormitori che non distribuiscono il vitto. I tempi di attesa da quando si fa la richiesta di asilo, la si verbalizza, viene fatto il foto-segnalamento e rilasciato il cedolino, alla Commissione superano i sei mesi. Dalla Commissione all’esito di questa passano altri due mesi. In caso di esito negativo se si decidesse di contestarlo e di riessere esaminati, allora si dovrebbero attendere al meno altri 5 mesi.

 

Qualcun altro spiega che denunciare il Patron è difficile: “a Roma non si lavora, si lavora solo a Napoli, tu sai cosa succede se uno di noi denuncia un Patron? Lo ammazzano e tutti gli altri fratelli perderebbero il loro lavoro, quello di oggi e anche quello di domani”. Tanti stranieri nei Centri, meno stranieri in arrivo, pochissimi stranieri che lavorano. Quasi tutti in nero. Ma che tipo di lavoro fanno e a che condizioni? Presidiare le pompe di benzina, giorno e notte, turni da 12-14 ore. Le mance del self service da dividere con qualcun altro, quando non si è costretti a pagare l’affitto del posto o a scambiare il favore occupandosi del servizio di autolavaggio nella fase diurna; scaricare casse al mercato generale, ogni cassa piena di frutta o verdura trasportata dal camion al banco sono venti centesimi; 12 ore in una frutteria a un euro e cinquanta l’ora, a volte due euro, se tra parenti la forbice può arrivare a tre euro e cinquanta; raccogliere pomodori a due euro la cassa, fare il muratore a minor prezzo della manodopera dell’est e solo per una o due giornate. “Prima non era così nel vostro Paese. Sappiamo che siete in difficoltà anche voi, cosa possiamo fare? Noi non contiamo nulla, siamo prigionieri dei nostri documenti, quando ce li avremo forse andremo via. Il nostro sogno si è interrotto, ora voglio chiudere un incubo. E voi che farete? Resterete o verrete via con noi? In fondo non siamo così diversi. La crisi è uguale in ogni continente. Non siamo noi che abbiamo tolto il lavoro agli italiani, questo oramai è chiaro. Siamo tutti in difficoltà. Ma Dio è grande e se solo capissimo tutti quanti che non sono i soldi a fare le nostre felicità, allora saremmo più uniti e qualcosa cambierebbe”.

 

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